Non c’è bisogno di metterci di mezzo la presunta mazzetta da 30 mila euro all’ex sottosegretario alle Infrastrutture leghista Armando Siri per ottenere un emendamento, poi mai approvato, sugli incentivi connessi al mini-eolico per valutare la gravità dell’arresto di Paolo Arata e del figlio Francesco, così come il coinvolgimento della Lega di Salvini, che lo aveva reso consulente per l’energia, ma soprattutto collettore elettorale per il sud. L’accusa di autoriciclaggio e di intestazione fittizia di beni, che i magistrati ritengono legati al socio occulto Vito Nicastri, e l’ombra diretta del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro bastano per raccontare l’odore che sta dietro a questa inchiesta. Un puzzo di compromesso che Salvini cerca accuratamente di evitare in nome del suo nuovismo di cui continua a professarsi portatore e che invece ha l’odore di Prima Repubblica, con tutti gli annessi e connessi della peggiore Democrazia Cristiana e della peggiore Forza Italia (che infatti, mica per niente, di quei voti al sud è stata svuotata).
Due cose stupiscono del caso Arata-Siri e di questa Lega che ha deciso di prendersi i voti del sud peggiore, quelli che hanno reso grande Silvio Berlusconi nei primi anni duemila – il famoso 61 a 0 in Sicilia contro la sinistra ve lo ricordate? Da una parte c’è l’indifferenza con cui il ministro dell’interno, che si professa tutto orgoglioso della propria battaglia contro le mafie, non parla di questa indagine, fingendo che non parlandone non esista, come un bambino sottovuoto che ha una visione del Paese ridotta alla propria camerata e che chiede davvero che la propria bolla social sia l’ambiente in cui si consuma la vita vera e soprattutto si esercita il dibattito.
Il Salvini che si diverte a fare il bagno in piscina nella casa confiscata alla mafia – della cui confisca lui non ha alcun merito -, dovrebbe rizzare il pelo e le antenne sentendo anche solo pronunciare da un magistrato il nome del più importante latitante collegato a un suo uomo di partito, e invece (proprio come la peggiore Democrazia Cristiana e esattamente uguale all’atteggiamento del Cavaliere) preferisce schiantarsi contro la magistratura parlando a nuora perché suocera intenda. Del resto si sa bene che quei voti siciliani hanno bisogno di essere allevati con cura e tranquillizzati da accordi locali che vengano avallati dalle più alte sfere del partito con la solita vecchia scusa, nel caso, di fingere di non sapere, di non vedere e, nel caso, di parlare di colpe altrui scaricando la responsabilità politica.
E proprio in questo, nonostante la Lega si proponga – ancora? – di essere forza del Nord e soprattutto portatrice di una nuova era è quanto di più vecchio ci sia mai capitato di vedere. Vorrebbe essere il nuovo che avanza, e invece rimane un pessimo imitatore dei cimeli del passato: Salvini sta portando la Lega a essere il nuovo carrozzone che va a raschiare il fondo dei voti al sud rimasti orfani del Cavaliere, raccogliendo inevitabilmente (e consapevolmente) voti e rapporti marci, quelli che da sempre lavorano nel sottobosco politico per sfamare interessi personali più o meno criminali e quelli che più o meno direttamente alimentano gli interessi criminali.
Ora, se il ministro dell’interno avesse voglia di essere davvero duro come finge di essere, se volesse diventare quel paladino antimafia che simula in ogni suo comizio, dovrebbe alzare la voce, suonare l’allarme e aprire all’interno del proprio partito una nuova fase di valutazione del radicamento nei nuovi territori, chiedendo ai suoi di controllare rapporti e amicizie dei nuovi entrati sulla barca leghista. E invece vedrete che non farà niente. Non dirà niente, non succederà niente. Niente di niente.
www.linkiesta.it