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«Asili, congedi, investimenti in sanità. Senza il lavoro delle donne l’Italia non riparte»

Potenziare gli ingressi, limitare le uscite

«Il filone centrale – ha spiegato l’esperta – è il sostegno all’occupazione femminile. Siamo un Paese in fondo alla graduatoria, poco prima la Grecia. Siamo tornati sotto al 50% con la crisi post-Covid e servono azioni politiche da una parte per limitare le uscite delle donne costrette a interrompere il lavoro, soprattutto per il sovraccarico di lavoro di cura, e dall’altra per aumentare gli ingressie garantire un maggiore accesso».

Investire in sanità per aumentare l’occupazione femminile

Come? Sabbadini cita tre leve: investimenti in sanità e assistenza sociale, asili nido e congedi. Sul primo fronte prende a riferimento il confronto tra Italia e Germania nel rapporto tra occupati e popolazione: «Se mantenessimo quel livello arriveremmo a 1,7 milioni di occupati in più. E se investissimo in sanità avremmo un ingresso massiccio di donne, che sono già quasi il 70% del settore. In sintesi: investire in ambiti vitali per la qualità della vita, e il Covid ha messo in luce quanto siano rilevanti, diventa indirettamente un investimento in forte crescita di occupazione femminile». Finora l’Italia ha fatto il contrario: «O non si è investito o si è diminuito il personale. Rispetto alla Germania abbiamo meno della metà degli infermieri».

Asili e congedi difendono il lavoro delle donne

Se la destinazione strategica e mirata degli investimenti – un messaggio in vista dei fondi che arriveranno dall’Ue – è il motore per creare posti di lavoro per le donne, asili e congedi sono gli strumenti indispensabili per mantenerli. «Arrivare in tre anni al 60% dei bambini coperti dai nidi, oggi che viaggiamo su punte vicine al 30% al Nord e con aree del Sud dove non tocchiamo neanche il 10%, porterebbe 100mila posti, al 95% femminili , e innescherebbe un effetto positivo di condivisione e percorsi virtuosi di eliminazioni delle interruzioni dei rapporti di lavoro». Allo stesso modo, i congedi parentali, secondo Sabbadini, vanno potenziati in termini di indennizzo, e quelli di paternità anche in termini di giorni: «Sarebbe importante che una parte, magari aggiuntiva ai 10 giorni, sia usata dai padri non in sovrapposizione al congedo maternità».

La battaglia culturale

Ma c’è un altro aspetto che deve correre di pari passo con gli altri. Lo ha ricordato Camussi: «Il cambiamento sociale si accompagna sempre a una dimensione culturale. Gli stereotipi di genere sono un metodo di funzionamento del nostro sistema cognitivo, che ha bisogno di semplificare le informazioni. Non possiamo eliminarli, ma possiamo aumentare il livello di consapevolezza della rappresentazione stereotipata». Per la professoressa, ridurre la stereotipia è cruciale per avvicinare le bambine alle materie Stem e per avvicinare i bambini alle attività di cura di sé, degli altri e dell’ambiente. «Nessuno scambio o sostituzione dei ruoli di genere, ma una integrazione e un allargamento delle possibilità di definizione di sé». Parità è anche questo.

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