Come ovvio, però, i problemi non mancano. Stiamo parlando, infatti, di due forze (Pd e M5s) che negli ultimi anni se le sono date di santa ragione. Negli occhi di tutti i dirigenti Dem, c’è ancora quella riunione della Direzione in cui, mentre Dario Franceschini cercava di spiegare la sua posizione “aperturista” verso un accodo con i Cinque Stelle, veniva dileggiato e deriso dall’ala ultrarenziana dei vari Scalfarotto, Nobili e De Cesaris, che si prodigavano nel dire che Lega e grillini sono la stessa cosa e vanno trattati come tali. Fa specie rilevare come, a distanza di poche settimane, quella posizione oltranzista, nel Pd, sia stata mantenuta solo da Carlo Calenda, che non a caso sta minacciando – questa volta seriamente – di dare vita a un nuovo partito.
Ma per motivi opposti, con il passare dei giorni, i vertici del Pd e del Movimento 5 Stelle si stanno convincendo che la soluzione sia quella del governo di legislatura, che sterilizzi la sete di “pieni poteri” di Salvini e consenta una traversata nel deserto, fino al 2023, meno drammatica possibile. Sul tavolo, infatti, adesso, c’è un governo sostenuto da una robusta maggioranza parlamentare, che possa guidare il Paese in Europa, rimetterlo in sesto dal punto di vista economico (con il decisivo aiuto di Bruxelles e Berlino) e normalizzarlo dal punto di vista degli equilibri sociali, che sono stati scientificamente devastati da Salvini. A questo vanno aggiunti i sondaggi shock, che, specie per i Cinque Stelle, potrebbero trasformare il voto anticipato in una sorta di pietra tombale.
Al di là dei giganteschi scogli politici da superare, però, i problemi principali rispondono al nome di Luigi Di Maio e, appunto, Matteo Renzi. Il primo è quello che, nel gruppo ristretto dei capi grillini, è più restio ad un’alleanza con i Dem. Fosse per lui, si sarebbe anche rimesso al tavolo con Salvini. Ma la sua linea, che ha portato i Cinque Stelle a dimezzare i consensi nel giro di un solo anno, non è propriamente la più seguita in questo momento. L’attuale vicepremier, però, per digerire il boccone, vorrebbe un ruolo (anche meno decisivo rispetto a quello attuale) nel nuovo esecutivo. Cosa che, di contro, non va per niente giù a Zingaretti, che, di fatto, ha già dovuto subire l’imposizione del “non-voto”.
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