Governo del presidente
«Il capo dello Stato è un organo di garanzia. È come un motore di riserva che, se si inceppa la macchina del circuito governo-Parlamento, entra in funzione». Giuliano Amato, ex premier e giudice costituzionale, ha usato in passato questa metafora per descrivere il ruolo di Giorgio Napolitano. Il «motore di riserva» si accese nel novembre 2011 quando il premier Silvio Berlusconi, sotto la pressione dei mercati che portarono il differenziale BtP-Bund al record di 574 punti, si dimise: il presidente della Repubblica affidò l’incarico di formare il governo a Mario Monti, nominato tre giorni prima senatore a vita. Quello dell’ex commissario europeo fu un caso di “governo del presidente” per il ruolo svolto dal Colle nella soluzione della crisi.
Quando arrivano i “tecnici”
L’Esecutivo Monti è stato chiamato anche dei “professori” o dei “tecnici” perché composto per gran parte da personalità scelte al di fuori della politica. L’appellativo spetta per primo al Governo di Lamberto Dini che, curiosamente, come quello montiano, subentrò a un esecutivo guidato dal Cavaliere. Dopo la caduta del primo governo Berlusconi, nel gennaio 1995 l’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro conferisce l’incarico di formare un nuovo esecutivo al ministro del Tesoro dell’esecutivo dimissionario. L’ex direttore generale della Banca d’Italia forma un governo con un programma definito: manovra correttiva, riforma del sistema pensionistico, la legge elettorale per le regioni e la riforma dell’informazione. Dini si dimise dopo un anno dopo ma rimase in carica fino a maggio, quando si insediò il nuovo governo vincitore delle elezioni, quello dell’Ulivo di Romano Prodi.
La andreottiana “non sfiducia”
È la formula creativa che descrive l’Esecutivo guidato da Giulio Andreotti (il terzo) nel 1976. Fu lo stesso presidente del Consiglio incaricato che, presentando alla Camera il suo Esecutivo (formato da soli esponenti democristiani), chiese la “non sfiducia” ai partiti – in particolare il Pci, dopo la Dc la principale forza parlamentare guidata da Enrico Berlinguer – sulla base di un programma e scadenze precise. Alla Camera la mozione di fiducia passa con 258 favorevoli e un numero maggiore di astenuti: 353. L’altro nome è “governo di solidarietà nazionale”.
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