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Basta giochetti: ora decidete cosa fare di questa crisi (e date all’Italia un governo che decide)

“E’ tutto molto delicato e difficile e per questo faccio una proposta a tutti i compagni di squadra del Pd: fino alla fine della crisi parla solo Zingaretti per tutti, come allora nel 1982 fecero gli azzurri con Zoff”. Il senso di questa crisi di governo agostana – estenuante per tempi, modi e forme è forse racchiuso in questo consiglio che Dario Franceschini ha voluto elargire al Pd impegnato in queste ore a chiudere un accordo con il movimento Cinquestelle per il governo giallorosso.

Il consiglio – al di là della sua valenza specifica – racchiude due immagini significative: il silenzio stampa e il 1982. Significative perché insomma dopo anni – quasi una ventina ormai – di rombante retorica decisionista e di esibite premiership, di sbandierate intransigenze, di (falliti) bipolarismi e di (fallite) vocazioni maggioritarie e infine di pose gladiatorie e balconizie dei populismi arrembanti – i vaffanculo day, lo streaming e le riedizioni del celodurismo leghista – siamo alla rievocazione dei primi anni ottanta e al consiglio del manzoniano Conte zio: “Troncare e sopire, sopire e troncare”: versione d’antan del silenzio stampa. Ripiombati in pieno cioè nelle antiche liturgie della prima Repubblica – non a caso il riferimento è al 1982 e gli azzurri campioni del mondo sono incidentali – con i tavoli, i conciliaboli, le telefonate di cui si dice, i veti e i controveti, le mediazioni, i ripensamenti, i rimpasti, i “quasi monocolore”, le correnti di partito che lavorano sottotraccia.

Come si trattasse di un conclave a cui guardare nell’attesa di capire il colore della fumata, se grigia o bianca e da cui trapelano solo condizionali. E così si viene ad apprendere da qualificate fonti del partito democratico – recitano le agenzie di stampa- che nel corso del colloquio con Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio avrebbe proposto al segretario dem, per superare il veto su Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, di lasciare al Pd la maggior parte dei ministeri chiave di un eventuale esecutivo con M5s. Solo in questo in questo modo infatti “si realizzerebbe quella discontinuità chiesta dal segretario Zingaretti con quasi un monocolore Pd guidato però dal presidente del Consiglio dimissionario”.

È di questo linguaggio, di questa materia che si sostanzia la crisi di governo mentre il paese guarda attonito come a uno spettacolo surreale e grottesco, senza però più sorprendersi di nulla.

Del resto ogni colpo di scena è stato consumato, ogni intransigenza del giorno prima smentita il giorno dopo, ognuno in questa corsa al mantenimento o alla riconquista delle posizioni si è spogliato d’ogni residua compostezza, ma sempre beninteso in nome del bene superiore della nazione, della democrazia e della responsabilità. Si è visto Matteo Salvini che qualche giorno dopo aver innescato la crisi ha cominciato a inseguire di nuovo Luigi Di Maio chiedendogli di ripensarci, di tornare insieme, arrivando persino ad offrirgli il premierato. E questo mentre il numero due, Giancarlo Giorgetti si distendeva in apologhi da pescatore zen.

Si è visto Renzi passare dal “Non nel mio nome” l’alleanza tra Pd e Cinquestelle alla teorizzazione dell’urgenza d’una intesa immediata tra dem e grillini e in queste ore a un impegno pancia a terra perché la saldatura per un governo di legislatura vada in porto, anche con un Conte bis. E fonti informate dicono addirittura che i renziani sarebbero anche disposti a entrare nell’esecutivo se questo dovesse tranquillizzare il segretario Zingaretti che teme imboscate prossime venture dall’ex segretario del suo partito.

Si è visto Zingaretti slittare dal possibilismo d’un dialogo coi Cinquestelle alla linea della discontinuità e di nuovo alla possibilità di un’intesa. Si è visto Berlusconi e il suo partito parlare di elezioni subito e intanto esplorare ogni ipotesi, tante volte la confusione non generasse la possibilità d’una riedizione del Nazareno.

Si è visto di tutto insomma in uno spettacolo che è l’involontario autodafè dell’inettitudine a decidere di un’intera classe politica che appare confusa, priva di visione e strategia, involuta in tatticismi che hanno l’orizzonte d’una giornata. L’inettitudine a decidere, l’incapacità dei sì e dei no che vanno detti, la mancanza dell’assunzione piena delle proprie responsabilità: sono queste le caratteristiche che la classe politica italiana mostra di sé in queste ore dimostrando di non essere una classe dirigente.

Uno spettacolo su cui, quale che sia l’esito finale – le elezioni o un nuovo governo, si spera con un programma chiaro e definito – calerà il sipario martedì prossimo. Quando finalmente parlerà Mattarella, unico a dimostrarsi sovrano in questo stato d’eccezione.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/08/26/governo-5-stelle-pd-di-maio-zingaretti-renzi-salvini/43312/

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