La centralità dell’uomo defilato, di chi dopo 25 anni di politica attiva si ritrova a dover essere il padre nobile nell’era del sovranismo di Matteo Salvini. Qualcuno lo definisce l’argine «agli scappati di casa». Altri, leggi il Pd di rito renziano, lo immaginano al loro fianco in un fronte comune di rito popolar-europeista.
Ecco, il soggetto in questione si chiama Silvio Berlusconi. È nato a Milano 82 anni fa, risiede a villa San Martino, comune di Arcore, ed è stato prima imprenditore arrivando a toccare la vetta in Italia e in Europa. È stato nel frattempo presidente del Milan potendosi di vantare di essere a capo del club più titolato al mondo. E infine dal 1994 è il politico italiano che ha segnato un’epoca, la seconda Repubblica, una stagione che ancora oggi non è finita. Perché fin quando ci sarà “Lui”, il tycoon del Biscione, non si potrà parlare di Terza Repubblica. Fin quando ci sarà “Lui”, Salvini se la dovrà vedere con questo signore che indossa gli abiti di Caraceni e adora trascorrere i weekend in Sardegna, a villa Certosa. In sintesi, nel bene o nel male la sua ombra continua a decidere le sorti e gli equilibri della politica italiana. D’altronde, dal 2011 la musica è sempre la stessa. Il Cavaliere, esautorato dal Parlamento italiano, fa e disfa i governi, fa e disfa gli accordi, benedice o condanna i patti degli amici e degli avversari. È così da cinque anni e chissà ancora per quanto lo sarà. «Sono sempre Silvio Berlusconi», a volta si lascia scappare con i fedelissimi accompagnando la battuta con il sorriso che ha fatto il giro del mondo.
La seconda Repubblica sta a Berlusconi, come la Prima Repubblica stava alla Democrazia Cristiana. Basta riavvolgere il nastro, mettere in fila gli ultimi esecutivi e comprendere la forza del fattore del B. B come Berlusconi, va da sé. Governo Monti, l’esecutivo dei tecnici guidati dal professore della Bocconi, figlio della cacciata dal palazzo a furor di popolo del tycoon, giura al Quirinale grazie al via libera dal leader azzurro. Altrimenti non avrebbe mai visto la luce.
Stessa sorte si può dire per la parentesi di Enrico Letta. Addirittura in questo caso si tratta di un governo di centro-sinistra-destra che nasce a casa del consigliere berlusconiano Gianni Letta, zio di Enrico. Il refrain non muta con l’esperienza del “giovanotto di Firenze”, Matteo Renzi. Qui il Cavaliere si spinge oltre. Forse perché rivede nell’ex sindaco di Firenze l’erede con il “quid” che non è riuscito a trovare in casa proprio. Il Patto del Nazareno è l’accordo attorno a cui ruota l’esperienza renziana. Non è un caso se il declino di Renzi inizi proprio quando Berlusconi decide di rompere il patto di ferro firmato presso la sede del Pd. Da lì l’ex sindaco di Firenze inanella errori su errori e conclude la sua parabola con la sconfitta referendaria.
È così, il Cavaliere di Arcore. Non ha più la forza elettorale di un tempo, ma incide ugualmente, eccome se incide. Non riempie più i palazzetti dello sport e stenta nei sondaggi. Tuttavia senza la sua approvazione nulla può essere bollinato, in questo ultimo scampolo di Seconda Repubblica. Poi, certo, Salvini spadroneggia. Conquista le regioni del sud. Ottiene il 20 per cento in Basilicata, ma senza quel 9 per cento di Berlusconi, che a qualcuno fa venir da piangere, il leader del Carroccio non avrebbe mai scalato la regione. E non avrebbe ottenuto il medesimo risultato in Abruzzo, Molise e Sardegna. È così l’ex premier che risiede ad Arcore. Conta sempre meno, ma decide le sorti del Paese. D’altro canto, è lui stesso che lo ricorda ogni volta che incontra Salvini, «mi consenti di dire che senza il mio consenso il tuo governo con Di Maio non avrebbe mai avuto la luce? Ricorda che ho garantito io con con Mattarella». E fin quando sarà così la Terza Repubblica resterà lontana…
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