La nuova tagliola di Letta
Il nuovo passaggio dal 21 al 22% è segnato: viene solo posticipato di qualche mese dal successivo governo Letta (Dl 76/2013) e scatta il 1° ottobre del 2013. Ma si apre un secondo capitolo. Perché Enrico Letta, perso l’appoggio dell’ex Cavaliere, si trova a dover innescare un’altra “tagliola” con la legge di Stabilità 2014: senza maggiori entrate o risparmi, dal 2015 ci sarà il taglio delle tax expenditures e «variazioni delle aliquote di imposta» per garantire 3 miliardi per il 2015, 7 miliardi per il 2016 e 10 milairdi a partire dal 2017.
Le aggiunte del governo Renzi
Arriva quindi l’«#enricostaisereno» e il famoso passaggio della campanella: sotto la spada di Damocle va a sedersi Matteo Renzi, che in due anni – anche grazie alla flessibilità europea – sterilizza le clausole per il 2015 e 2016 e le riduce per gli anni seguenti. Comprese quelle (aggiuntive) che lui stesso ha piazzato nella legge di Stabilità 2015, a copertura dei suoi provvedimenti (cioè 12,8 miliardi sul 2016, 19,2 sul 2017 e 22 miliardi dal 2018). Le clausole cominciano a sommarsi. E aleggia il pericolo che l’Iva possa salire ancora, non solo nell’aliquota più alta.
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Le sforbiciate di Gentiloni
Dopo l’ultima manovra di Renzi (legge di Bilancio 2017), che azzera il peso dei 15,3 miliardi per l’anno in corso, il nuovo premier Paolo Gentiloni eredita un fardello da 19,5 miliardi per il 2018, sempre coperto dall’aumento automatico dell’Iva e delle accise.
Gentiloni avvia una prima ripulitura con la manovra di primavera (Dl 50/2017), che neutralizza 3,8 miliardi e porta il conto a 15,7 miliardi. Il successivo decreto fiscale (Dl 148/2017) e la legge di Bilancio 2018 sterilizzano poi gli eventuali rincari Iva del 2018, ricorrendo all’aumento del deficit per il 70% dei 15,7 miliardi necessari. E riducono anche di 6,4 miliardi l’ipoteca del 2019, che passa a 12,4 miliardi.
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