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Bruxelles in stallo, senza Commissione e a corto di risorse

 

«Chi non è in grado di considerare se stesso come attore globale e di agire di conseguenza è destinato a scomparire». Sono queste le parole che il presidente francese Emmanuel Macron ha utilizzato nella sua recente intervista al settimanale The Economist per lanciare un monito all’Europa. In effetti oggi l’Unione europea sembra più occupata nel risolvere i propri problemi interni e dotarsi di un assetto comune che nel definire il proprio posizionamento strategico nel mondo.

Quando a luglio è stata nominata alla guida della Commissione europea, prima donna nella storia a svolgere questo incarico, Ursula Von der Leyen trasmise, per la sua storia personale e politica, l’impressione, o quantomeno la speranza, di poter essere la persona giusta per rilanciare il progetto europeo. Medico, ministro della difesa, madre di sette figli, tedesca ma cresciuta a Bruxelles: determinazione e sensibilità europea non sembravano mancare. Anche per questo, nonostante la maggioranza risicata in Parlamento, le aspettative erano parse subito elevate, rafforzate dal lancio di alcune iniziative bandiera, come il New Green Deal che tanto è entrato nel dibattito europeo ed italiano.

A più di cinque mesi dalle elezioni europee e a tre mesi dalla sua nomina, la “squadra” di Von der Leyen tarda a insediarsi e l’Unione europea si trova ad essere guidata dalla “vecchia” Commissione in carica per la gestione ordinaria degli affari correnti. Peccato che il momento per l’Unione europea sia tutto fuorché da gestione ordinaria.

La Commissione a guida Von der Leyen sarebbe dovuta entrare in carica il primo di novembre ma, come noto, la serie di audizioni che si è svolta al Parlamento europeo a fine ottobre ha prodotto tre “vittime”. Sebbene il Parlamento abbia legittimamente esercitato una propria prerogativa, l’affossamento di ben tre commissari ha certamente evidenziato una doppia debolezza rispetto alla maggioranza politica che sostiene la Von der Leyen e alla dialettica istituzionale interna al processo di decision-making europeo.

Mentre Macron, di lì a poco, ha proposto l’ex manager Thierry Breton, solo il 6 novembre il nuovo governo della Romania ha inviato la nomina di Adina Valean per i Trasporti completando così il quadro.

Il percorso per la nuova Commissione riprende dunque con le audizioni che i nuovi tre candidati commissari (francese, ungherese e romeno) dovranno affrontare tra qualche settimana al Parlamento. Se le audizioni dovessero richiedere più tempo, vi sarebbe il rischio concreto di un rinvio dell’insediamento all’anno prossimo. A ciò si aggiunga che manca ancora all’appello il commissario inglese che la Von der Leyen ha richiesto urgentemente a Boris Johnson e la cui assenza rappresenta un ulteriore elemento di blocco.

Tutto ciò avviene in un momento particolarmente delicato, nel mezzo delle negoziazioni per il nuovo quadro finanziario pluriennale dell’Unione Europea che ad oggi risulta in stallo e sul quale insistono due ordini di problemi.

L’attuale bozza di bilancio non prevede risorse per realizzare alcune delle proposte bandiera contenute nel programma grazie al quale la Von der Leyen ha ottenuto la fiducia, come il Green New Deal di cui molto si parla. Poiché è difficile immaginare che il budget aumenti in senso assoluto, attraverso risorse aggiuntive, è necessario lavorare ad una diversa allocazione delle risorse già stanziate per recuperare fondi. Questo genere di negoziazioni non è mai indolore e riaprire una discussione con gli Stati Membri è quasi sempre faticoso. D’altro canto, se l’accordo sul bilancio pluriennale non cambiasse, tra qualche mese del tanto declamato Green New Deal potrebbe restare solo qualche labile traccia.

Un’ulteriore conseguenza dello stallo è che il ritardo dell’approvazione del nuovo bilancio pluriennale potrebbe creare un periodo di vuoto di risorse. A fine dicembre 2020 infatti termina l’attuale programmazione e se i regolamenti dei nuovi programmi non saranno pronti, dal primo gennaio 2021 si va incontro ad un vero e proprio vuoto di risorse e progetti. Le implicazioni sono serie ed importanti: dai ragazzi che rischiano di non avere i fondi partire per l’Erasmus a diverse miglia di progetti di ricerca che non verrebbero rifinanziati, per fare solo alcuni esempi.

Il Consiglio europeo si sarebbe dovuto esprimere a luglio, ma la decisione è stata più volte rinviata e al momento è atteso un pronunciamento per dicembre. Si tratta di una posizione negoziale, dunque è molto probabile che prima di gennaio non si raggiunga un accordo.

Se si pensa che il bilancio dell’Unione europea corrisponde a poco più dell’1% del Pil dell’Ue, si può avere l’impressione dell’elefante che partorisce il topolino. Se poi ci si sofferma a riflettere sulle grandi sfide che l’Ue si propone di affrontare, dall’intelligenza artificiale al climate change, il senso di inadeguatezza rispetto al suo meccanismo decisionale aumenta e con esso il senso di urgenza per una sua nuova e determinata azione.

Se è vero che l’Europa oggi ha una missione storica da svolgere, viene forse da chiedersi se sia (ancora) possibile assolverla investendo l’1% del Pil e attraverso l’attuale processo decisionale a 28 (o 27). Come richiamato da Macron nel suo monito, il nuovo assetto globale multipolare richiede all’Europa di esercitare il proprio ruolo geopolitico di potenza globale, pena scomparire. Ciò significa avere una visione comune, condividere una strategia e dotarsi degli strumenti, dall’ambito economico a quello della difesa, necessari per realizzarla.

Più che dell’ordinaria amministrazione, l’Unione europea sembra avere dunque bisogno di uno straordinario coraggio.

 

 

 

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