Chi illude, scappa nella delusione. «Il Movimento 5 stelle – ha scritto Peter Gomez – è nato per eliminare la corruzione dilagante in Italia e nelle sue classi dirigenti». Tanti italiani ci hanno creduto, e si possono capire. Chi ha fatto credere che per sradicare il malaffare bastava sostituire i vecchi partiti con i nuovi arrivati però è diverso: dovrebbe assumersi la responsabilità dell’illusione che ha alimentato. Invece, ha scelto di sentirsi tradito dall’arresto di Marcello De Vito, l’ex presidente del consiglio comunale di Roma accusato di corruzione. Secondo Virginia Raggi, caduto nella trappola di «affaristi, tangentisti, palazzinari che stanno provando ad adottare ogni metodo per tornare a “fare affari” a modo loro». E, ancora una volta, è tutta colpa del passato che non passa.
Invece, c’è una responsabilità culturale che si può accertare fin d’ora, e va al di là di quella penale di De Vito, ancora tutta da provare. «Abbiamo subito una scossa violenta, un brusco risveglio», ha detto Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia dei 5 stelle. Dormivano, quando si obiettava loro che l’onestà è un presupposto della politica, e che il miglior modo inventato dalla civiltà politica occidentale per valutarla è la selezione della classe dirigente, cioè la formazione e la scelta delle persone che decidono che la politica sarà la loro professione, non un modo come un altro per passare il tempo, l’uno vale uno.
Pur di non rinunciare al mito che hanno creato, gli illusori di ieri si siedono sulla poltrona della delusione di oggi. Non indagano la propria amarezza. Non confrontano le aspettative che hanno creato con “la verità effettuale della cosa”, come la chiamava Machiavelli, opponendo la realtà alla “immaginazione che si ha di essa” (sempre Machiavelli, sempre sia lodato). Si scandalizzano. Si sentono offesi. Ordinano l’espulsione di De Vito in “trenta secondi”. Scacciano fuori di sé qualcosa che in realtà hanno dentro: la possibilità di finire in errore. E, pur di conservare la mitologia della diversità, costringono alle dimissioni anche Daniele Frongia, assessore allo sport della giunta Raggi, sul quale pende un’accusa ridicola di corruzione (avrebbe la colpa di aver segnalato il curriculum di una trentenne a Parnasi su richiesta dello stesso Parnasi). Tutti sanno che finirà archiviato. Eppure, tutti devono sapere che loro non lasciano impunito nemmeno un innocente, qualora sia sospettato.
«Il Movimento 5 stelle ha smesso di esistere – ha detto Paolo Flores d’Arcais – quando ha deciso di tradire una dopo l’altra le promesse fatte in campagna elettorale». L’ipotesi che il problema sia nelle promesse in sé, nel raccontare che sia possibile spazzare via i corrotti con una legge, abolire la povertà per decreto, credere di prendere il potere senza esserne presi, in sostanza estirpare il male dalla vita pubblica semplicemente entrandoci dentro con tante buone intenzioni, questa ipotesi, dicevamo, non è contemplata. La delusione è il bene rifugio su cui investire per tenere viva l’illusione della purezza. Perpetuando il moralismo che ha invaso il discorso pubblico italiano, e che attribuisce l’intera colpa della corruzione alla mancanza di integrità della classe politica che è venuta prima dei 5 stelle. Rimuovendo, primo, che un certo livello di corruzione è fisiologico anche nello stato meno corrotto del mondo (la Danimarca, prima in classifica nell’indice di Transparency International), secondo, che la corruzione, in Italia, è nutrita anche dall’infernale sistema burocratico che abbiamo.
Il Movimento 5 Stelle potrebbe essere finito dentro il meccanismo alla prima prova di governo di una grande città, non per la prima volta in dieci anni, come dice Di Maio, poiché nessuno è così scemo da corrompere qualcuno che non ha il potere di prendere decisioni. Contaminato dalla logica 5 stelle, però, il discorso pubblico italiano non è ancora pronto a guardare in faccia l’essenziale. Cioè che il problema del governo grillino di Roma non è criminale: è l’inconsistenza della politica di Virginia Raggi. Un’incensurata, che può ancora fare qualcosa di buono per la causa. Ossia deludere, gettando altra legna nel fuoco dell’illusione.
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