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Caos regionali, slitta il Dl elezioni. Pressing Pd su M5s (per le alleanze locali)

NUOVO BRACCIO DI FERRO

La fase 2 sposta lo scontro sul terreno più squisitamente politico delle elezioni amministrative che avrebbero dovuto tenersi questa primavera e che invece sono state spostate per via del lockdown a dopo agosto

di Emilia Patta

28 maggio 2020


3′ di lettura

Regioni da una parte, Stato e Governo dall’altra. Se la gestione della pandemia ha visto andare in scena il braccio di ferro tra potere centrale e potere locale sulle chiusure e le riaperture, con ordinanze e dpcm in ordine sparso, la fase 2 sposta lo scontro sul terreno più squisitamente politico delle elezioni amministrative che avrebbero dovuto tenersi questa primavera e che invece sono state spostate per via del lockdown a dopo agosto.

E questa volta la contrapposizione centro-periferia attraversa la contrapposizione abituale tra maggioranza e opposizione: da una parte i governatori (in particolare Giovanni Toti della Liguria e Luca Zaia del Veneto, rispettivamente ex Forza Italia e Lega, assieme ai colleghi democratici Vincenzo De Luca della Campania e Michele Emiliano della Puglia) che vogliono sfruttare la popolarità acquisita durante l’emergenza votando il prima possibile, e dunque almeno il 6 settembre; dall’altra i partiti “romani”, dal M5s a tutto il centrodestra, che vogliono ritardare l’appuntamento con le urne locali e indicano la data del 27 settembre come prima utile.

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Le motivazioni dei leader nazionali sono diverse ma combaciano nell’obiettivo: i pentastellati e i democratici non sono ancora pronti per alleanze che consolidino a livello locale l’”esperimento” giallo-rosso (l’unica interlocuzione avanzata è in Liguria), mentre Matteo Salvini vuole ritardare il più possibile l’”incoronazione” del suo competitor interno Zaia.

Fatto sta che questa volta il Governo, e in particolare la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che nei giorni scorsi ha cercato una soluzione da inserire nel decreto sullo slittamento all’esame della Camera, si è trovata in mezzo. Con la conseguenza che alla fine resterà la data indicata del 20 settembre per l’election day (elezioni in circa mille comuni e referendum confermativo sulla riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari). Starà insomma ai governatori decidere se adeguarsi o fissare le elezioni alla prima data utile (il 6 settembre appunto, visto che il decreto proroga la decadenza dei consigli regionali a tutto agosto), spiegano fonti del Viminale: «In questo modo si scontentano un po’ tutti, diversamente si scontenta solo qualcuno».

Sintetizza il deputato del Pd Stefano Ceccanti: «Ovviamente tutti auspichiamo la quadratura del cerchio, una data condivisa per l’election day. Ma al momento c’è un problema oggettivo che rende diffcile muoversi dal testo arrivato in Aula».

 

 

 

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