«Prima i romani, poi tutti gli altri». Non sappiamo se l’abbia detta davvero così, Luigi Di Maio, a Virginia Raggi. Non sappiamo, ma non è arrivata mezza smentita alla presunta irritazione del capo politico dei Cinque Stelle nei confronti dalla sindaca di Roma, rea di aver concesso un alloggio popolare a una famiglia rom con dodici figli che aveva fatto regolare domanda per ottenerla e che aveva tutte le carte in regola affinché ciò avvenisse. Soprattutto, di essere andata di persona a Casal Bruciato a rivendicare la sua scelta e esprimere la sua solidarietà alla famiglia Omerovic, dopo che i militanti di Casa Pound e alcuni abitanti del quartiere erano arrivata a minacciarne l’incolumità, circondando l’abitazione e “promettendo” bombe in casa e violenze sessuali.
Non sappiamo se l’abbia detta davvero così, ma di certo dal Movimento Cinque Stelle non è arrivata alcuna manifestazione di sostegno e stima nei confronti della sindaca di Roma, che ha coraggiosamente sfidato la canea parafascista del suo quinto municipio, affermando un principio di diritto che dovrebbe essere ovvio, in un Paese normale: che l’alloggio popolare è di chi ne ha diritto per legge, non per sangue. E che non deve esistere nemmeno il sospetto che vi sia un amministratrice di case popolari vicina a Casa Pound – tale pare sia Daniela Basio, amministratrice dello stabile della discordia di Casal Bruciato – che chiede di discriminare una famiglia straniera per “non generare una rivolta da parte degli inquilini”.
Può essere che Di Maio non volesse ulteriori grane con la Lega, dopo la revoca delle deleghe al sottosegretario indagato Armando Siri. Può essere che abbia davvero paura che a Roma esploda una specie di guerra civile tra ultimi e penultimi e che le destre, dalla Lega a Casa Pound, possano beneficiare politicamente dall’esasperazione del clima. Può essere tutto, ma in una situazione del genere anche il silenzio è grave e vergognoso: perché quello di Casal Bruciato è un caso politico in cui bisogna prendere posizione, se si teme una deriva di ultradestra, come lo stesso Di Maio ha dichiarato qualche giorno fa.
Se non dici niente, o se addirittura fai filtrare indignazione, caro Di Maio, la deriva di ultradestra sei tu. Sei tu, che rappresenti l’elettore mediano, quello né di destra né di sinistra, che tolleri le violenze verbali e fisiche di Casa Pound. Sei tu che giustifichi con l’esasperazione le minacce all’incolumità di una famiglia che, semplicemente, sta esercitando un suo diritto. Sei tu che avalli la discriminazione su base etnica, legittimando l’idea che – parafrasando Orwell – ci siano maiali più uguali degli altri, esattamente com’è accaduto per le mense a Lodi e con lo stesso reddito di cittadinanza, la cui erogazione agli stranieri è tuttora vincolata alla prova diabolica di dimostrare certificati alla mano di non avere alcuna proprietà all’estero. Sei tu, caro Di Maio, che per paura o per opportunità avalli la discriminazione, l’intimidazione e il razzismo perché non vuoi sfidare lo spirito dei tempi.
La speranza è che la notte abbia portato consiglio. Che il buonsenso prevalga sui timori. Che oggi Di Maio dimostri la sua vicinanza e la sua solidarietà a Virginia Raggi e alla famiglia Omerovic, così come ieri ha fatto papa Francesco. Che si chieda semmai a gran voce una ricognizione delle assegnazione degli alloggi popolari romani, per togliere di mezzo il sospetto che siano discrezionalmente precluse a stranieri per paura di disordini sociali.
Che si persegua, con più forza ancora, l’integrazione delle famiglie rom attraverso la smobilitazione dei campi e il sostegno alla stanzialità dentro le case e fuori dai ghetti. Dovrebbero essere banalità, per una forza politica che vuole dimostrare la sua alterità rispetto all’alleato leghista e alla sua deriva a destra. Attendiamo fiduciosi.