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C’è più vita in Landini che in tutto il resto della sinistra italiana

 

«Serve un sindacato unitario per tutti i lavoratori, perché non esistono più le ragioni storiche e politiche che hanno diviso Cgil, Cisl e Uil». Così ha parlato Maurizio Landini, riprendendo un’idea già messa in campo lo scorso autunno, alla vigilia del suo primo primo maggio da segretario della Cgil. E tutto si può pensare di lui, tranne che non abbia messo in campo quel che si sperava mettesse: un po’ di pensiero radicale e di visione di lungo periodo, in un contesto come quello della sinistra italiana, impaurito, subalterno, malato di tattica e cara prudenza da almeno un anno a questa parte.

Può essere davvero un’ottima notizia per tutti, Landini, sia per chi la pensa come lui, sia per chi lo vive come fumo negli occhi. Innanzitutto, perché è credibile come interprete di un pensiero di sinistra, e la sua credibilità – unitamente al suo ruolo – è una spina nel fianco per il governo e per chi, come Luigi Di Maio, gioca oggi a fare la fronda progressista per tattica elettorale. Sugli investimenti mancati, sul mezzogiorno dimenticato, sulla sicurezza del lavoro, persino nei suoi richiami all’antifascismo ieri Landini ha sferzato un mondo, il suo, ancora prigioniero dell’anti-renzismo, e non da ieri sensibile alle sirene leghiste e pentastellate. Certo, c’è chi può dire che sia stato proprio Landini ad aver alimentato questo deflusso – il segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli si riferisce a lui quando parla di “populsimo sindacale” -, ma proprio per questo Landini oggi rappresenta il terminale più efficace per riportare a casa un pezzo importante dell’elettorato di sinistra.

Landini è importante anche perché rimette al centro l’importanza dei corpi intermedi, e del sindacato nello specifico. Nell’idea del sindacato unitario c’è l’idea della costruzione di un grande soggetto sociale che va in direzione uguale e contraria all’attuale tendenza alla disintermediazione degli interessi. Un’idea che la sinistra dovrebbe benedire, questa, perché se non c’è società organizzata, ma solo leader o algoritmi è la sinistra stessa che perde di senso storico. Quel che Renzi non aveva capito – che i corpi intermedi non andavano combattuti, ma aiutati a cambiare – Landini lo sta offrendo sul piatto d’argento a Nicola Zingaretti. Ora dev’essere il segretario del Pd a essere capace di costruire un asse di ferro col segretario Cigl, senza diventarne subalterno.

Anche da un punto di vista programmatico, infine, Landini può essere un interlocutore importante. Certo, l’opinione pubblica si ricorda di lui come dell’oltranzista che disse No a Marchionne, ma l’attuale segretario della Cigl è stato anche tra i promotori e i firmatari del nuovo contratto dei metalmeccanici, nel 2016, uno dei più innovativi in Italia, con la grande enfasi che mette sulla necessità di un diritto soggettivo alla formazione per l lavoratori. Sia che si vogliano combattere le idee di Landini, sia che si voglia dialogare con lui, serve un salto di qualità.

La comunicazione, infine. Landini è l’unico leader della sinistra largamente intesa – politica e sindacale che sia – che può controbilanciare Salvini nella capacità di parlare a un popolo di impoveriti ed impauriti, che può parlare di sicurezza (sul lavoro) senza che il discorso si sposti sull’immigrazione, che può offrire un orizzonte europeista senza che suoni elitario. Un sindacato dei lavoratori forte è un brutto affare per un sindacalista dei territori come il leader leghista, di sicuro una seccatura in più. Magari non servirà a rianimare la sinistra, che ancora oggi sembra più morta che viva. Perlomeno, però, è un segnale di vita. Di questi tempi, grasso che cola.

 

 

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