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C’è solo un velo tra i decreti di Conte e le leggi degli ultimi vent’anni: quello dell’ipocrisia

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(Ansa)

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Per chi crede, nonostante tutto, che in un sistema parlamentare le Camere debbano avere un ruolo non marginale, le voci che si sono levate in questi giorni a difesa di un Parlamento usurpato dai decreti del Presidenti del Consiglio sono un sollievo non da poco. Perché a strillare non sono solo le opposizioni – ora addirittura con l’occupazione delle aule assembleari in difesa dei diritti del nostro parlamento -, in un gioco di ruoli divenuto stucchevole, dagli abusi di maggioranze governocentriche: ci sono, con diverse gradazioni, anche componenti della maggioranza a chiedere a Conte un maggior coinvolgimento delle Camere.

Qui sta la vera novità, a fronte dall’ultimo velo strappato con i ripetuti provvedimenti adottati in solitaria autonomia dal capo del governo. Perché di questo si tratta, fuor di ipocrisia e di speculazione. A separare irreparabilmente i contestatissimi decreti amministrativi del capo del governo e la grande parte delle leggi approvate dalle Camere c’è un velo: spesso, ma solo un velo. Il velo di un voto di fiducia, praticamente un timbro con cui le Camere trasformano passivamente in leggi dello Stato atti governativi approvati con procedimenti che ben poco, o nulla hanno a che fare con quanto scritto nella nostra Costituzione. Il governo non fa leggi (con l’eccezione, parziale e temporanea dei decreti legge e dei decreti legislativi figli delle leggi di delega), ma rivolge alle Camere progetti di legge alle Camere. Ad esse spetta, seguendo il procedimento inequivocabile e ininterpretabile dell’art. 72 della Costituzione, elaborare quei testi fino ad approvarli in identico testo. Il governo ha un ruolo essenziale, nell’iter legislativo: ma non è quello di scrivere in solitudine i testi, e dare ad essi le dimensioni, necessarie, e di regola immani, perché basti un solo voto in entrambe le Camere per chiudere la questione. Un voto che non sfiora quel testo, sul cui merito il Parlamento non si pronuncerà mai, ma che si limita a confermare la sussistenza di un rapporto di fiducia delle camere. Nessuno conoscerà mai, per fare un esempio, l’opinione di merito delle Camere sulla legge elettorale in vigore, o sulle ultime leggi di bilancio. Addirittura.
Premessa lunga, ma purtroppo necessaria: perché quel voto di fiducia – ripetiamolo, fuor di ipocrisia e di speculazione -, è il velo che separa i decreti extraparlamentari del presidente Conte e la grande parte delle leggi approvate negli ultimi quattro o cinque lustri. Ed è un velo spesso ma, nei casi di specie formale: perché negando la fiducia si fa cadere un governo, non una legge. Tutto, nei decreti incriminati come nelle leggi, viene predisposto nei laboratori del Governo: la differenza sta in quel voto di fiducia. Non è poco, ma non innerva il rapporto di merito tra quel testo e la pronuncia delle camere, che rimane ignoto (come anche delle commissioni, fondamentali in Costituzione e ridotte a comparse nella realtà).
Poi, c’è tutta una storia in questa pratica di deformazione ed espropriazione: fatta di montagne da scalare per i governi impegnati nella realizzazione dei propri impegni. Di unanimità parlamentari richieste fin dalla definizione dei tempi del procedimento, e della storia di un parlamento chiamato a risarcire una grande parte di sé, esclusa per insuperabili ragioni ultranazionali dal gioco dell’alternanza alla guida del paese. L’alternanza è un baluardo delle democrazie. Ma queste difficoltà sono un alibi, superabile con interventi sui regolamenti, in gran parte già operati ed operanti; e raschiando via dagli archivi delle camere le brutte abitudini chiamate con benevolenza precedenti. I precedenti non possono spingersi fino a strapazzare le norme della Costituzione.
Ora, questa maggioranza occasionale e disunita nei motivi , forse una maggioranza di giornata, ha una occasione per uscire dal gioco di ruoli, davvero stucchevole, strumentale e addirittura imbarazzante se raffrontato all’abituale disinteresse per il parlamento istituzione e casa degli italiani prima ancora che legislatore. Battersi davvero, senz’altro interesse che quello di difendere la Costituzione, e il nostro sistema parlamentare con le sue inalienabili prerogative. Basta tirare la coperta dell’azione fino a ricoprire il diritto delle Camere di essere davvero la sede dove le leggi si fanno, tutte: nelle Commissioni prima e nelle Assemblee dopo. Con un ruolo primario dei governi, ben s’intende: ruolo di interlocutore fondamentale, non potenza occupante e usurpatrice.
montesquieu.tn@gmail.com

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