Gli orrori del realismo socialista si erano già rivelati nel ’56 durante la rivolta d’Ungheria. Le nuove tecnologie consentirono nel ’68 una comunicazione più globale ed efficace. Come nel ’56 l’atteggiamento degli
house organ del PCI fu vergognoso
Martedì la Repubblica ceca commemora i 50 anni dall’invasione dei carri armati sovietici che nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 mise fine al sogno riformista della Primavera di Praga: decine di eventi sono in programma in tutto il Paese, preceduti domani da una manifestazione davanti all’ambasciata russa. La Czech Radio ha organizzato una diretta di 13 ore, dalle 21 di lunedì fino alle 10 di mattina di martedì, con giornalisti che si collegheranno da diversi luoghi legati all’invasione, insieme a materiale d’archivio e numerose interviste con testimoni dell’epoca. Nei primi giorni dell’invasione morirono 72 cecoslovacchi (il totale delle vittime sarebbe arrivato a oltre 200), mentre il governo di Alexander Dubek invitava la popolazione a non opporre resistenza.
Martedì mattina il premier ceco Andrej Babis, insieme ai presidenti dei due rami del Parlamento, interverrà a una cerimonia pubblica all’ingresso dell’edificio dell’emittente radiofonica, svelando una targa commemorativa dedicata a tutte le vittime dell’invasione. In serata ci sarà un concerto in Piazza Venceslao, al quale parteciperà anche la cantante Marta Kubisova che riproporrà ‘A Prayer for Marta’, divenuta un simbolo di quella tragedia. Tra gli eventi organizzati, una speciale proiezione sulla facciata del Museo Nazionale, mentre la Galleria Nazionale di Praga terrà l’evento ‘Opening ’68’, con le più famose immagini dell’invasione scattate da Josef Koudelka insieme a riprese del regista della ‘Nuova Onda’ di Praga, Jan Nemec. Il municipio invece ospiterà l’esposizione ‘Soviet Invasion – August 1968’, e diverse altre mostre sono in programma in altre città, come Brno, Ostrava, Pardubice e Liberec, una delle più colpite dall’invasione, dove si esibirà il cantante Karel Kryl.
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, a partire dalle 23, i carri armati sovietici – e di altri Paesi del Patto di Varsavia, come Polonia, Germania dell’Est, Bulgaria e Ungheria – varcarono la frontiera dell’allora Cecoslovacchia: il punto di rottura dopo mesi di tensione tra l’Urss di Leonid Brezhnev e il nuovo governo di Dubcek, insediatosi alla guida del Partito Comunista cecoslovacco nel gennaio precedente. Sotto la sua guida, a Praga erano state introdotte una serie di riforme nel nome di un ‘socialismo dal volto umano’, dall’abolizione della censura, alla libertà di raduno e associazione, fino a caute riforme economiche. Mosca aveva risposto con allarme, avvertimenti e infine un ultimatum. All’alba del 21 agosto, Praga e il resto del Paese era stato occupato dalle centinaia di migliaia di soldati inviati dall’Urss e dai suoi alleati. Nella capitale, centinaia di cittadini si radunarono di fronte all’edificio della radio che era circondato dai carri armati. Un centinaio di persone morirono solo nei primi giorni dell’offensiva. Mosca sostenne che l’intervento era stato richiesto dalle autorità cecoslovacche. Dubceck venne arrestato insieme al premier Oldrich Cernik e ad altri, tra cui il presidente Ludvi’k Svoboda; portati a Mosca, vennero costretti a firmare il ‘Protocollo di Mosca’ con il quale veniva formalizzava l’occupazione sovietica. Intanto in Cecoslovacchia la popolazione aveva adottato una resistenza non-violenta, in attesa del ritorno dei leader dalla capitale sovietica.
Ma quando tornarono, il 27 agosto, comunicarono che le truppe sovietiche sarebbero rimaste fino a una “normalizzazione della situazione”. Nell’aprile 1969 venne firmato un accordo per la permanenza temporanea dei militari di Mosca; nello stesso mese Dubcek venne estromesso dalla guida del Partito comunista e seguirono durissime purghe. Un ferreo controllo che durò fino al ritorno della democrazia con la Rivoluzione di Velluto nel 1989, alla quale seguì, all’inizio del 1993, la divisione del Paese in Repubblica Ceca e Slovacchia.
Sotto: l’indecente titolo de L’Unità per l’invasione d’Ungheria del ’56. Altrettanto indecente l’approvazione incondizionata dell’invasione sovietica da parte di Giorgio Napolitano, poi premiato, nei decenni successivi, con le massime cariche dello Stato. Foto cvce.eu