Oggi a Roma tutti i partiti del centrosinistra – qualunque cosa si intenda con il termine, ammesso e non concesso che il termine denoti ancora effettivamente qualcosa – manifesteranno uniti in difesa dei curdi siriani aggrediti dall’esercito turco. Una giusta causa, che meriterebbe forse qualcosa in più di una manifestazione romana in piazza del Pantheon, accompagnata da un garbato invito al governo – di cui la maggior parte dei promotori sono peraltro parte integrante – a non vendere armi alla Turchia. E dalle solite, amare, sofferte, autocontraddittorie riflessioni sull’inerzia e sull’ipocrisia dell’Europa.
Se volessimo davvero parlare di ipocrisia e di inerzia, infatti, è da Roma che dovremmo cominciare, non da Bruxelles. Dalle scelte dei governi di centrosinistra e da quello che ancora oggi molti di coloro che stasera saranno in piazza – non Donald Trump – sostengono, approvano e difendono, in parlamento e in tv. A cominciare dall’idea che “governare” i flussi migratori significhi, in buona sostanza, riempire di soldi chiunque sia in grado di tenere i profughi lontani dai nostri confini, con qualunque mezzo, che si tratti del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, o del trafficante di uomini libico Abd al-Rahman al-Milad, detto Bija.
Il primo ha ricevuto ben sei miliardi di euro – più altri tre che l’Europa, ironia della sorte, si era impegnata a versargli giusto nei prossimi giorni – affinché sbarrasse la strada ai profughi provenienti dal Medio Oriente. Il secondo, come ha documentato recentemente Avvenire, nel 2017 partecipava addirittura a riunioni con funzionari del governo italiano (promemoria: nel 2017 al governo c’era il centrosinistra) in cui si discutevano gli accordi con la guardia costiera libica, per fermare o riportare indietro i migranti provenienti dall’Africa. E questo nonostante nei rapporti dell’Onu già da tempo si parlasse di uccisioni e torture nei campi sotto il controllo di Bija e del suo clan.
Ora Erdoğan ci ricorda senza tanti giri di parole che i patti col diavolo non sono mai senza contropartite: chiede ancora più soldi e pretende, soprattutto, la nostra acquiescenza di fronte ai suoi crimini, minacciando in caso contrario di aprire i campi profughi (leggi: di lasciare liberi di andarsene milioni di uomini, donne e bambini che hanno l’unica colpa di avere visto le proprie case rase al suolo). Ma forse ad allarmarci dovrebbe essere soprattutto il fatto che tutto questo sia stato reso possibile dalla ritirata di Donald Trump, che ha deciso di abbandonare i curdi al loro destino, dopo averli utilizzati come principale se non unica forza di terra impegnata in prima linea contro l’Isis. Cioè – anche – al posto nostro. Una scelta che ci dovrebbe allarmare perché, in un mondo in cui gli Stati Uniti decidono di «ritirarsi da guerre infinite» e forse anche di smettere di pagare i conti della Nato, prima o poi, al posto dei curdi potremmo finirci pure noi.
Solidarietà e cooperazione tra i paesi occidentali non si sono affermate sulla spinta dell’altruismo, ma dell’istinto di sopravvivenza, in forza di un calcolo razionale di costi e benefici che oggi l’America, non considerandolo più vantaggioso, sembra decisa a rivedere drasticamente. Di conseguenza, altrettanto dovrà fare l’Europa, e anche l’Italia. Una riflessione che per le forze di centrosinistra che oggi saranno in piazza dovrà contenere, inevitabilmente, una buona dose di autocritica. Il mondo disordinato e senza cabine di controllo in cui stiamo entrando richiederà sempre di più il coraggio di azzardare risposte nuove, uscendo dalle rassicuranti ipocrisie in cui – tutti quanti – ci siamo cullati fino a oggi.
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