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C’era una volta l’accordo sulla proporzionale, ora (forse) torna di moda il sistema maggioritario

 

Del presidente americano Gerald Ford si diceva che non sapesse fare due cose contemporaneamente come camminare e masticare un chewing gum. Anche la politica italiana in questa fase fa (quando la fa) una cosa per volta. Il resto può attendere. Per esempio: dopo tavoli, incontri, mediazioni, penultimatum, la legge elettorale che fine ha fatto? Trovata l’intesa sul proporzionale con sbarramento al 5%, i partiti di governo avevano promesso di chiudere la pratica entro gennaio, massimo febbraio. Anche per onorare l’impegno di approntare un nuovo sistema elettorale come corollario della legge costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari (quella per cui andremo al referendum confermativo, costo 350 milioni, a proposito dei costi della politica). Peccato però che il fascicolo sia chiuso a chiave in qualche cassetto della commissione Affari costituzionali della Camera in attesa che qualcuno la richiami in vita per discuterne. Ma si rischia di aspettare Godot. Come mai?

In sintonia con il clima di perenne sospensione di quasi tutto, anche in questo caso la verità è che si attendano un po’ di cose: le regionali di maggio; gli Stati generali dei grillini; gli sviluppi del “partito nuovo” di Zingaretti; le mosse di Renzi; e naturalmente la verifica dello stato di salute del governo Conte. La legge elettorale-Godot può aspettare.

Bocciato il referendum di Calderoli per un maggioritario totale, nulla impedisce un maggioritario parziale, contrariamente a quanto suggeriscono molti. Non è vero che il proporzionale sia blindato. Resta forte ma non è un totem. La novità di cui tutti si sono accorti è che il risultato emiliano ha dato indicazioni importanti, due su tutte: la tenuta del Pd e il declino del Momento Cinque Stelle.

Proprio combinando questi due fattori, un commentatore di primo piano come Paolo Mieli ha subito ipotizzato che a seguito di queste novità sarebbe conveniente per il Nazareno riprendere in esame un modello maggioritario a doppio turno (non addentriamoci ora nelle sue varianti, ma prendiamo come punti di riferimento il Mattarellum o l’Italicum): se i Cinque Stelle virassero verso i Dem o, meglio ancora, si sfarinassero del tutto, ecco che il partito di Zingaretti avrebbe la possibilità di “aggrumare” intorno a sé un nuovo polo antisovranista, pur dovendo fare i conti, al secondo turno, con l’ipotizzato “terzo polo” di Renzi, Calenda e Bonino. La cosa insomma consentirebbe un’intesa elettorale abbastanza naturale, soprattutto una volta che il peso elettorale dei grillini fosse molto ridimensionato. Mentre non è detto che il proporzionale – secondo chi ragiona così – metterebbe al sicuro la governabilità e soprattutto eviterebbe pateracchi con pezzi della destra.

L’idea esternata da Mieli ha trovato qualche ascolto anche ai piani alti del Nazareno, dove peraltro il segretario non ha mai fatto mistero di preferire un sistema in qualche modo maggioritario pur lasciando il dossier nelle mani di Dario Franceschini, grande sostenitore del proporzionale seppure corretto da una soglia di sbarramento abbastanza alta (ma siamo sicuri che il 5% reggerà?). Si tenga infine conto che il varo di una legge elettorale di per sé allarma i parlamentari: meglio dunque rinviare e arrivare in prossimità del semestre bianco quando scatta l’impossibilità di sciogliere le Camere, dunque quest’estate. Ecco perché non c’è fretta.

In parole povere, non essendo ancora chiaro dove vada a parare un quadro politico indecifrabile, i partiti vivono alla giornata. C’è sempre un appuntamento ulteriore per verificare cosa convenga. D’altra parte a causa di una follia tutta italiana le amministrative e le regionali determinano un circuito pieno di curve, tanto che non si riesce mai a stabilire rapporti politici certi. Adesso si attendono Puglia, Marche, Liguria, Toscana, Campania e Veneto, come ieri si attendevano Emilia e Calabria e ancora prima Umbria, Sardegna, Abruzzo, Basilicata: e ogni volta bisogna rifare i conti. Concretamente, questo significa che il Pd, il partito bene o male più stabile della situazione, aspetta di capire se può incassare i voti pentastellati in libera uscita. La legge elettorale verrà di conseguenza. Mentre il tempo passa, come diceva la canzone di Casablanca.

 

 

 

 

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