Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco quest’anno si è discusso di quali caratteristiche abbia la Westlessness, cioè di quell’assenza dell’Occidente che ormai è diventata pesante come un fatto compiuto.
La Westlessness per me ha avuto la faccia di Mark Zuckerberg. Intervistato a Monaco dal presidente della Conferenza Wolfgang Ischinger – per ironia della sorte proprio dopo il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov – il fondatore e ad di Facebook, tra le dieci persone più ricche degli Stati Uniti, ha provato a rispondere alle domande su Facebook e la democrazia, tra interferenze straniere, discorsi di odio, polarizzazione dell’opinione pubblica.
Zuckerberg, magnate del capitalismo occidentale, è stato molto rapido nell’identificare le colpe degli altri. Per esempio, ha subito indicato come estremamente problematico il tentativo russo di interferire nelle elezioni presidenziali americane del 2016. Non una parola sulla responsabilità di Facebook, che non ha protetto adeguatamente i dati di almeno 50 milioni di elettori americani, poi finiti nelle mani di Cambridge Analytica e così utilizzati per la comunicazione fortemente manipolatoria della campagna di Donald Trump.
Zuckerberg è stato altrettanto rapido a non rispondere alla domanda relativa al tipo di legislazione necessaria per regolamentare i social network. Quello che è peggio, Zuckerberg ha riconosciuto che c’è bisogno urgente di legislazione in materia, perché i rischi connessi alla giungla dei social sono ormai troppi. Ma ha anche aggiunto che non spetta a una azienda come Facebook neanche suggerire il tipo di legislazione necessaria. Come dire: Riconosco i problemi che ho creato, ci ho guadagnato sopra miliardi di dollari, ora però si dia da fare la politica. Una sorta di pilatesca socializzazione dei costi della regolamentazione, quando poi Facebook, e i suoi azionisti, nell’assenza di regole ha fatto ingenti profitti. E come se Facebook in questi anni non abbia fatto politica (si veda ad esempio il caso dell’oscuramento della pagina di Casapound).
Mark Zuckerberg ha anche scantonato la domanda sulla responsabilità di Facebook come editore.
Le sue risposte, evasive e generiche, sono state la fotografia della vera malattia dell’Occidente: la progressiva deresponsabilizzazione delle élite occidentali, sempre più incapaci di affrontare problemi globali che richiederebbero sangue freddo, visione e coraggio. L’assenza o il declino dell’Occidente sono riconducibili alla scoperta di non volere o non potere (più) influenzare il corso degli eventi globali. L’Occidente è oggi in crisi perché è venuta meno la consapevolezza e il desiderio di influenzare quello che succede nel mondo. Il concetto, o meglio l’essenza di Occidente, si è retto sull’idea che al privilegio essere nati nella parte più ricca e libera del mondo dovesse corrispondere la responsabilità di favorire l’adozione di comportamenti e istituzioni virtuosi anche in altri contesti. Occidente quindi per anni ha voluto anche dire capacità di leadership globale, che si è tradotta in alcuni casi in responsabilità, in altri persino in ingerenza. Ma in ogni caso, nel non tirarsi indietro. Quando Zuckerberg, che dal sistema di capitalismo di mercato, libera espressione, libertà creativa e di impresa, ha guadagnato miliardi, dice che non sta a lui intervenire, dice, molto semplicemente, che o l’Occidente si attrezza per contrastare comportamenti opportunistici e fintamente inconsapevoli, o sarà spazzato via.
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