Non si sa ancora come e quando ma la testa di Giuseppe Conte rischia davvero di rotolare presto. Questa volta l’impressione è che Matteo Renzi, l’uomo che ha fatto nascere il governo Conte per sbarrare il passo ai “pieni poteri” dell’uomo del Papeete, ha deciso di farlo cadere. Di provarci, almeno. I giochi sono in pieno svolgimento. L’epilogo è tuttavia legato a molte incognite, prima fra tutte l’andamento dei contagi, prima che la curva cali non succederà niente. Ma a giugno, o comunque appena la fase dell’emergenza sarà stata superata, la questione di un nuovo governo verrà posta. Certo bisognerà aver in testa una exit strategy, e non siamo ancora a questo.
Gli scenari infatti sarebbero molteplici. L’iniziativa messa in moto da Renzi con le parole sul presidente del Consiglio che calpesta la Costituzione, un vero atto di guerra, non vuole essere condotta contro il Partito democratico ma insieme a esso. Una manovra avvolgente, in qualche modo concordata, per chiedere la testa di Conte una nuova discussione sulla ricostruzione del Paese sulle macerie del virus. Magari portando a Palazzo Chigi proprio un uomo del Pd, e il nome di Dario Franceschini è il più forte: «Un premier del con la stessa maggioranza di adesso non ci vedrebbe contrari», dicono i renziani.
Secondo scenario, un allargamento della maggioranza a Forza Italia (c’è un gran lavorio di Gianni Letta in questo senso) ma sempre con un premier diverso da Conte e chiaramente con un nuovo programma. Ma questa strada non sembra proprio nel desideri del Pd.
Terzo scenario, un Conte ter con l’uscita di Italia viva e contestuale ingresso di Forza Italia (più altri parlamentari “indipendenti” o “responsabili” che dir si voglia) nella maggioranza: ma viene considerata dai renziani un’ipotesi debole e molto improbabile (“Vogliamo vedere i Cinquestelle governare con Berlusconi e senza di noi”).
Infine, l’ipotesi di cui si parla da settimane, un governo Draghi di unità nazionale sostenuto da tutti i partiti, magari tranne una frangia del M5s, i parlamentari vicini a Di Battista, con molti ministri tecnici. Uno scenario tutto da scrivere, senza precedenti (l’esperienza di Monti non è paragonabile, uno scenario molto diverso, e anche una destra molto meno aggressiva di quella attuale).
Finché non sarà ragionevolmente chiaro quale di queste ipotesi avrà forza, le bocce resteranno ferme. La speranza di Italia viva, come detto, è quella di tirare dentro questo gioco anche il Nazareno, le cui intenzioni sono al momento di non facile interpretazione. Anche se il partito di Zingaretti, a sentire lui stesso e i suoi colonnelli, sono stretti intorno a Conte, tuttavia da tempo crescono critiche e malumori. Come si dice in politichese, si chiede un cambio di passo.
Un esempio, da ultimo, è venuto da Graziano Delrio che in pratica ha sposato in pieno la dura critica di Renzi all’uso insistito e esagerato di un atto amministrativo per governare la vita degli italiani come il Dpcm. Una questione che non è evidentemente formale né di “eleganza” istituzionale ma un problema addirittura di legittimità politica e di rispetto della democrazia parlamentare.
Ma non basta. La sinistra del Pd, a microfoni spenti, è sicura che non possa essere Giuseppe Conte l’uomo a cui affidare la fase della ricostruzione. Oltre tutto, non è sfuggito al Nazareno un certo appannamento del premier, ci si chiede se stia reggendo uno stress incredibile che va avanti da mesi. Ma c’è un problema più di fondo.
Il paragone è sempre quello di Winston Churchill che vinse la guerra e nello stesso anno perse le elezioni: «La gente dopo l’emergenza avrà voglia di novità – dice a Linkiesta un esponente di quest’area – e dovremmo essere noi a incarnarla…». Ma è anche vero che il Pd non dispone di un Clement Attlee, il leader laburista che sconfisse Churchill grazie al suo grande piano di costruzione di un solido welfare: di qui la frustrazione nazarena di sostenere un premier con convinzione sempre minore ma di non avere alternative a lui. Ma come si vede le cose si sono messe in movimento e fra un po’ di tempo tutto potrebbe diventare possibile.
Ci sono quattro ipotesi sul futuro del governo, e in tre di queste non c’è Giuseppe Conte