Giuseppe Conte è comprensibilmente preoccupato che per colpa dei Cinque Stelle il Parlamento diventi nei prossimi mesi un circo Barnum di gruppi e gruppetti senza bussola né cultura politica, e per questo sta tentando di dissuadere iniziative potenzialmente distruttive di un equilibrio già abbastanza ridicolo di suo. Seguaci del leghista di fatto Gianluigi Paragone da un lato e dall’altro sconosciuti peones folgorati dal più dimenticabile ministro dell’Istruzione della storia, Lorenzo Fioramonti, si agitano in attesa di – rispettivamente – formare un nuovo gruppo paraleghista di opposizione e dar vita a un nuovo pezzo nel gruppo Misto per condizionare (ma come?) il governo.
I “fioramontiani” potrebbero infatti dar vita una nuova epopea scilipotiana, con l’ex ministro della scuola a capo di nuovi “responsabili” pronti a calamitare qualche deputato sfigato: ci penserebbe poi il premier «punto di riferimento della sinistra italiana» (copyright Nicola Zingaretti) a tirare a campare. A costituire un nuovo gruppo non ci arrivano, anche se hanno trovato il nome: Eco (qualsiasi cosa voglia dire). Ancora più oscuri sono i contenuti dell’idea di Fioramonti, che d’altra parte non ha mai dato prova di chiarezza di idee. L’ennesimo newcomer in cerca di un quarto d’ora di notorietà.
Tutto questo movimento sta squassando il Movimento. Peggio dei cascami della Dc – il Ccd, il Cdu, l’Udc, l’Udeur – ora abbiamo fichiani, bonafedisti, taverniani, dimaiani, fioramontiani, paragoniani, dibattistiani, un nugolo di capibastone estranei alla pratica circense di Beppe Grillo e ancor più alle dinamiche aziendali di Davide Casaleggio. Il premier, che conoscendo quel mondo ne fiuta la possibile putrefazione, intanto ha fatto sì che i grillini finissero in minoranza nel Consiglio dei ministri, escogitando lo sdoppiamento del ministero di viale Trastevere in due e lasciando al M5s la scuola (Lucia Azzolina) ma affidando all’indipendente certo non grillino Gaetano Manfredi l’Università e ricerca. Un bel colpo di carambola, con tanti saluti all’aumento di spesa per mantenere due dicasteri al posto di uno. Ma anche un segno dei tempi: il primo partito italiano non ha la golden share nel governo.
L’ambizioso ragazzo di Pomigliano che prima ha combinato guai al ministero dello Sviluppo economico e poi sta sfasciando il Movimento travestito da ministro degli Esteri appare drammaticamente solo, disconosciuto “a sinistra” da Roberto Fico, Alfonso Bonafede e i governisti, così come dalle vecchie glorie come Paola Taverna, calata sullo scranno più alto di palazzo Madama quando sostituisce un’altra miracolata come Maria Elisabetta Casellati. Per non parlare dell’”estremista” Barbara Lezzi, capofila degli emarginati, mentre l’esule guevarista Di Battista aspetta il suo turno come Lev Trotskij (e si è visto com’è finita…), ansioso di ripristinare il grillismo della prima ora.
Qualcuno dice che Casaleggio, più che Grillo, cominci a guardare altrove. Occhio a Stefano Patuanelli, il volto serio della banda, impicciatissimo nelle fregature che il suo Capo gli ha lasciato in eredità, dall’Ilva all’Alitalia, ma che pare il personaggio più affidabile in un’ottica di “normalizzazione” dell’ex Movimento diventato ormai partito. Intanto è l’ora delle schegge impazzite, dei sospetti, dei calcoli, e scosse telluriche disegnano un vero e proprio sciame sismico che lambisce da vicino il quartier generale con il “Capo politico” che non pare il Capitano che affonda con la nave portando la mano alla visiera ma piuttosto uno in procinto di scappare travestito da tedesco. E ha pochi mesi, Di Maio, fino ai cosiddetti Stati generali di marzo, per salvare sé stesso. Gli occorre un nuovo patto fra Grillo e Casaleggio. Dai “suoi” parlamentari non può aspettarsi nulla.
Perché quelli che furono gli agguerriti gruppi parlamentari che assaltavano la presidenza della Boldrini o facevano vedere i sorci verdi persino a Matteo Salvini, quelli che tenevano Giuseppe Conte al guinzaglio, quelli che sbeffeggiavano il partito-di-Bibbiano e insolentivano da veri machi Maria Elena Boschi, ebbene quelli sono un ricordo. Così dunque il 2020 può essere l’anno del sipario, del the end, dei titoli di coda, mentre la gente si alza e se ne va sbadigliando dopo aver visto un brutto film.
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