Dicono No alle Olimpiadi a Roma e Torino, e poi festeggiano a mezza bocca la vittoria di Milano e Cortina. Vogliono revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia a Genova, e poi fanno di tutto per tirarla in mezzo nella cordata che vuole acquistare Alitalia. Parlano della deriva di estrema destra di Matteo Salvini, ma poi votano il decreto Sicurezza bis e non dicono nulla sui 42 migranti a bordo della Sea Watch che da 13 giorni sono fermi nelle acque internazionali a largo di Lampedusa. Si professano europeisti, ma finiscono nell’eurogruppo parlamentare insieme al Brexit Party e difendono i Minibot di Borghi, ripudiati persino dai leghisti Giorgetti e Garavaglia.
Benvenuti nel pianeta dell’incoerenza a Cinque Stelle, l’unico partito opposizione di se stesso, capace di dire una cosa e fare il suo contrario un minuto dopo, di affermare un principio e farne immediatamente strame. Un vizio patologico, questo, che è difficile decidere se sia frutto di una fine strategia politica o del più puro situazionismo all’italiana, di una risposta estemporanea e mal coordinata alle iniziative leghiste o il frutto di una faida interna tra Di Maio e Di Battista.
Qualunque cosa sia, sta distruggendo il Movimento Cinque Stelle. E fossimo nei suoi vertici, organizzeremmo qualcosa di simile a quel che un tempo si sarebbe chiamata conferenza programmatica. Giusto per mettere in fila una o due priorità del Movimento, per decidere cosa fare per davvero, la prossima volta cui gli toccherà governare, e per formare la propria classe dirigente in funzione di quegli obiettivi, affinché ogni volta non scappi loro tutto di mano, come sta accadendo ora.
Prima domanda: i Cinque Stelle sono per gli investimenti pubblici e la crescita o per un austero immobilismo? Il dubbio viene: perché ogni volta che c’è un grande evento o una grande opera riscopriamo il partito contro i cantieri e lo spreco di soldi pubblici, come Mario Monti meglio non la direbbe. Mentre quando si tratta di andare a battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, riscopriamo il partito che vuole fare deficit per far crescere il Pil e che vuole scorporare la spesa per investimenti dal patto di stabilità.
Prendiamo atto e portiamo a casa. Così come portiamo a casa la giravolta del giorno di Luigi Di Maio che riesce contemporaneamente a chiedere la revoca alla concessione autostradale di Atlantia, per poi lavorare a un suo coinvolgimento nell’acquisizione della patata bollente di Alitalia. Qui la contraddizione è doppia: che vuole fare il Movimento coi Benetton? Come può considerare partner strategico in una partita tanto importante un soggetto cui leva una concessione a seguito di una tragedia immane come quella dello scorso Ferragosto? E ancora: perché le autostrade vanno nazionalizzate e Alitalia va privatizzata? Che logica industriale c’è dietro questa scelta? Quella dello Stato imprenditore o quella dello Stato regolatore?
Sui migranti è la stessa cosa, peraltro. Aggravata dal fatto che al posto dei capitali, in questa partita, ci sono in gioco 42 persone vittime dell’inferno. Passare un’intera campagna elettorale a parlare di puzza di ultradestra e poi non solo governarci assieme, ma non dire nulla su provvedimenti di ultradestra come il decreto sicurezza bis, o a frasi sprezzanti e discriminatorie del ministro dell’interno contro gli ultimi del pianeta, che possono stare pure «fino a Natale» a largo di Lampedusa, è il segno che quell’ultradestra, ai Cinque Stelle, tanto schifo non fa. E allora perché sbraitare?
E già che ci siamo: che senso ha fare l’elogio di Angela Merkel in campagna elettorale, con frasi agiografiche tipo “ce ne fossero qui in Italia di leader come lei” – e poi allearsi di nuovo in Europa con Nigel Farage del Brexit Party, nel contesto di una negoziazione sulla possibile procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, peraltro? Ce lo chiediamo, e probabilmente se lo stanno chiedendo pure in Commissione a Bruxelles, dove il posizionamento di Di Maio e soci rappresenta ancora un vero e proprio mistero. Un mistero che, per semplificazione, viene risolto ignorando la posizione pentastellata e rivolgendo ogni attenzione a una controparte urticante finché si vuole, ma almeno reale, come Matteo Salvini.
Ecco, il vero rischio che corrono i Cinque Stelle è proprio questo. Che nessuno finisca per credergli più. Che ogni possibile interlocuture del Movimento finisca per trovare in Matteo Salvini l’unica voce chiara e decodificabile, che il governo Conte finisca per giustapporsi perfettamente alle idee del Capitano. È già successo, peraltro, e non è successo per caso. E finché i Cinque Stelle non decideranno cosa essere, dove stare e per cosa combattere succederà sempre. Questa è la vera prova di maturità che attende Di Maio & co. Non la superassero, si giocheranno con Renzi il titolo di meteore più fugaci della Storia della repubblica italiana..
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