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Come il Partito democratico ha regalato i servizi segreti a Giuseppe Conte

 

La straordinaria debolezza politica del Partito democratico di Nicola Zingaretti nei confronti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte emerge anche da una questione di cui poco i media parlano: la gestione dei servizi segreti. Al momento della formazione del governo giallorosso misteriosamente Zingaretti non impose la nomina all’Autorità Delegata (che appunto esercita il controllo politico del governo sui Servizi) di un esponente del Pd e accettò che Conte non desse a nessuno una delega che ha continuato a esercitare in prima persona.

Pure, nel triennio in cui la carica era stata sua, Marco Minniti aveva mostrato che quella postazione ha il peso di un Ministero di prima fascia, anche sul tema politico dell’immigrazione, fondamentale per il consenso. Pure, in quella fase, Conte e i 5 Stelle, terrorizzati dalla prospettiva incombente delle elezioni, avevano ben scarso potere contrattuale. Pure, Zingaretti aveva già ceduto una postazione capitale per il controllo dello Stato, rinunciando al Viminale a favore della Lamorgese, una “tecnica”.

Pure, su pressione di Maurizio Martina, in omaggio a un manuale Cencelli tra correnti del Partito democratico, il segretario aveva rinunciato all’ultimo momento a un sottosegretario forte ed espertissimo sui temi dell’apparato dello Stato, come Emanuele Fiano, nominando invece viceministro all’Interno Matteo Mauri, esperto di trasporti, del tutto digiuno di apparati dello Stato nei quali non aveva alcun contatto.

Pure, l’unica postazione ottenuta dal Partito democratico nella trattativa in quelli che i sovietici (e il Pci) chiamava i “Ministeri della Forza” era stata la Difesa per Lorenzo Guerini. Un Ministero pesante, che però non permette al titolare di acquisire alcuna informazione sensibile, alcun affare riservato.

«Ugo Pecchioli si rivolta nella tomba di fronte all’insipienza dimostrata da Zingaretti nei confronti di un tema cruciale: il controllo da parte del partito dei gangli fondamentali della Sicurezza, dell’apparato dello Stato – ci dice un noto esponente del Partito democratico – sintomo di una mancanza di sensibilità inconcepibile per chi pur proviene dal Pci. Oggi, nella fase post Covid, i democratici non hanno nessun esponente di rilievo in una postazione di potere e di controllo, di monitoraggio di una possibile, forse certa, rivolta sociale autunnale. Sono tutte postazioni dirette da uomini che devono la carica a Conte, che si è ormai costruito una cordata tutta sua anche nei gangli dello Stato. Una nostra delega immotivata e suicida».

D’altronde, se si capisce la rigidità di Conte nell’agosto 2019 nel volere assolutamente continuare a gestire in prima persona i Servizi nel pieno dello scandalo Mifsud – che era valso l’endorsement di Donald Trump al «caro amico Giuseppi» per i favori da lui fatti al governo degli Stati Uniti – una volta che quella vicenda si è sgonfiata, già nell’autunno scorso, nulla, se non un’immotivata debolezza del Partito democratico, spiega perché non abbia mai preteso di mettere un suo uomo alla Autorità Delegata.

Oggi i democratici sono in una posizione del tutto marginale anche nella complessa, ma cruciale, partita del rinnovo dei vertici dei Servizi in scadenza. Conte è stato il dominus assoluto e solitario nel passaggio di consegne all’Aise (i servizi segreti esterni) tra Luciano Carta (da lui promosso in Leonardo) e Gianni Caravelli.

Sempre Conte ha in mano il banco per il rinnovo del vertice dell’Aisi (i servizi segreti interni), nella quale il generale dei Carabinieri Mario Parente è in scadenza in questi giorni. Anche in questa partita il Partito democratico sta alla finestra e la decisione è tutta nelle mani del premier che pare stia optando per una proroga di due anni di Parente, che ha diretto l’Aisi dal 2016 a scapito della candidatura del generale dei carabinieri Angelo Agovino, oggi Vice Direttore dell’Aise.

Certa anche la mano libera di Conte nella scelta dei vice direttori dell’Aisi, dato per scontato che Valerio Blengini non verrà confermato. A favore di Parente gioca la profonda ristrutturazione interna dell’Agenzia che ha affiancato al suo forte impegno sul fronte dell’antiterrorismo un interesse fortissimo sul piano economico.

Ingenti energie e personale sono stati da Parente spostati infatti nel monitoraggio dei movimenti economici e societari, non solo quelli “sospetti”, terreni nei quali forte e pluridecennale è il know how del Servizio derivato dal contrasto ai cartelli della droga e alle organizzazioni mafiose. Oggi l’Aisi monitora capillarmente i passaggi societari nell’ottica della difesa degli interessi strategici nazionali, segnalando all’autoritá politica anche la penetrazione legalissima di capitali stranieri e quindi di controllo societario estero.

Tanto che, non paradossalmente, sponsor della riconferma di Parente è Raffaele Volpi, presidente leghista del Copasir che ha impegnato con conti e audizioni l’organo parlamentare di controllo dei Servizi in questa identica, inedita, direzione.

 

 

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