Comprereste non dico un’automobile ma almeno una bicicletta usata da Giuseppe Conte? Ovviamente no, a meno di non chiamarvi Nicola Zingaretti. L’ipotesi che un tratto bianco su sfondo bianco come il nostro premier, abile palleggiatore con Brunello Cucinelli, potesse trovare il modo di rappacificare la Libia, che peraltro aveva già detto di aver pacificato durante un summit a Palermo di oltre un anno fa, era credibile quanto un voto su Rousseau. Peggio, era una velina del portavoce Rocco Casalino per contrastare l’altra patetica ammuina di Luigi Di Maio, il ministro che non si fila nessuno ma che “s’aremena a ’cca e a ’ll à” per far finta di contare qualcosa, anche se mai più del due di coppe quando la briscola è a bastoni.
La grottesca performance di Conte e Di Maio sulla Libia, salutata dai rispettivi staff che si odiano più dei fratelli Gallagher a Natale come una doppia grande iniziativa diplomatica italiana, si è presto tramutata in una scena da teatro di rivista, operetta e avanspettacolo allo stesso tempo, con porte che sbattono e incontri che saltano e un tutti giù per terra finale. Non c’è mai stata nessuna iniziativa diplomatica italiana, ma solo una battaglia di spin tra due dispensabili controfigure della Casaleggio Associati, impegnate principalmente a passare ai giornalisti ricostruzioni l’una contro l’altra, la più debole delle quali è quella del premier per caso Giuseppe Conte.
Ascoltare o leggere Conte su qualsiasi questione all’ordine del giorno, ma in particolare sulla crisi internazionale di questi giorni, è un dolore lancinante considerando che in quell’ufficio ci sono stati Bettino Craxi e Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi e Romano Prodi, Mario Monti e Matteo Renzi. Sull’Iran non si è capito niente. Sul Venezuela, Conte è contro Maduro ma anche contro Guaidò, a favore dell’Assemblea Nazionale guidata da Guaidò ma contro la scelta dell’Assemblea Nazionale di nominare Guaidò. Sull’Europa, invece, la sua ferma posizione dipende dall’alleato pro tempore. Così come sulla Russia e sulla Cina. Un punto fortissimo di riferimento per la scuola di politica estera del salvo intese.
L’irrilevanza italiana sulle questioni internazionali non è demerito di Conte né del ministro Luigi Di Maio, sebbene loro abbiano peggiorato le cose liberando gli alleati dal peso di dover fare anche una telefonata a Roma. L’Italia non c’è più e Giuseppe Conte non c’è mai stato, lo hanno capito perfino i libici.
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