Giuseppe Conte è quello che è: un segnaposto scelto da Davide Casaleggio per il cosiddetto contratto di governo tra populisti e sovranisti, ma anche un furbacchione sodale di Rocco Casalino che con disinvoltura fa anche il premier con l’unica forza politica di sistema che in questi anni ha rappresentato e retto lo Stato. Il gioco delle tre carte con l’Europa e Vito Crimi è già più acrobatico e richiede grandi abilità che l’azzecagarbugli di Volturara Appula sembra comunque possedere, compresa la sua ultima specialità, quella di mandare vocali di due minuti a reti unificate soltanto per dirci quanto è felice di non aver ottenuto quello che aveva promesso, sperando che nessuno, in particolare Vito Crimi, se ne accorgesse. Ma in ogni caso la sua traiettoria politica è segnata e, se vogliamo sopravvivere come paese agli effetti sociali della pandemia, a breve Conte dovrà passare la campanella a un politico adulto.
Luigi Di Maio è un ritratto bianco su sfondo bianco da prendere purtroppo sul serio non solo perché nomina nella holding degli armamenti italiani il suo compagno di banco all’Ena di Pomigliano d’Arco, ma perché i colleghi di partito sono se possibile più imbarazzanti di lui, non solo il Dibba, ma anche il nuovo astro nascente, Ignazio Corrao da Alcamo, mio concittadino, che l’altro giorno dopo averci provato due volte a dire cose false, senza che il giornalista ci cascasse, ha svelato ai lettori di Repubblica il grande complotto ordito dal Mes secondo cui, attenzione perché lo scoop è di quelli notevoli, «i soldi li devi restituire».
I grillini sappiamo chi sono, insomma: sono dannosi per la società, per l’economia, per il paese, culturalmente innanzitutto, ancor più che per il decreto dignità, il reddito di cittadinanza e le mille altre idiozie che si sono intestati. Sono un freno, un ostacolo, un impedimento, ma sono talmente inadeguati ai compiti che sono chiamati a svolgere da essere tutto sommato contenibili, come ha dimostrato Gualtieri facendoli fessi sul Mes e il resto.
Il vero problema politico dell’Italia è Matteo Salvini. In molti ci sono cascati, in questi anni, spiegando in vari momenti che Salvini fascisteggiava solo per calcolo politico, ma che una volta arrivato a Palazzo Chigi avrebbe invece indossato la grisaglia e poi governato da tradizionale esponente del centrodestra.
Il leader leghista ha avuto decine di occasioni per realizzare la fantasia dei cosiddetti liberali per Salvini, secondo la definizione esatta di Guido Vitiello, e mostrarsi un conservatore serio, ma tutte le volte non solo ha dimostrato che si trattava di una bufala ma si è anche ulteriormente coperto di ridicolo, non prendendo le distanze da Claudio Borghi e da Alberto Bagnai, per non parlare di quegli amministratori locali apertamente fascisti.
La pandemia di coronavirus è stata la sua ultima grande occasione, una specie di rigore a porta vuota grazie al quale con un solo tiro avrebbe potuto liberarsi di Conte, imbarazzare il Partito democratico, tornare a contare qualcosa oltre TikTok, acquisire credibilità e passare alla storia per il salvatore del paese. Abbandonando l’antieuropeismo da operetta e distaccandosi da Mosca e dall’estrema destra europea sarebbe potuto diventare l’azionista di maggioranza di un nuovo governo di unità nazionale, guidato da una figura come Mario Draghi, e ottenere il massimo dall’Europa per far ripartire il paese.
Con un’operazione di questo tipo che si sarebbe potuto facilmente intestare, non solo avrebbe salvato l’Italia, invece di continuare a spingerla verso il baratro, ma sarebbe diventato improvvisamente un leader politico plausibile in vista delle prossime elezioni, cui sarebbe arrivato con buona parte dei problemi economici affrontati e risolti e magari facendo anche dimenticare le imbarazzanti performance lombarde del suo uomo in Regione.
Invece, il modello di Salvini è quello autarchico, autoritario e illiberale, di Vladimir Putin e di Viktor Orbàn, lontano anni luce dallo spirito collaborativo e nazionale del leader del centrodestra portoghese, Rui Rio, il quale qualche giorno fa di fronte ai problemi creati dal virus ha detto in Parlamento che «la minaccia che dobbiamo combattere esige unità, solidarietà, senso di responsabilità, per me, in questo momento, il governo non è l’espressione di un partito avversario, ma la guida dell’intera nazione che tutti abbiamo il dovere di aiutare. Non parliamo più di opposizione, ma di collaborazione. Signor primo ministro Antonio Costa conti sul nostro aiuto. Le auguriamo coraggio, nervi d’acciaio e buona fortuna perché la sua fortuna è la nostra fortuna».
Invece del modello Rui Rio, in verità un’eccezione nella destra internazionale, la linea della destra italiana da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, con l’eccezione di Silvio Berlusconi, è quella suicida di Borghi e di Bagnai e quella furbastra di Meloni, le cui truppe ieri in Parlamento hanno dato una notevole prova di irresponsabilità con un ostruzionismo in tempo di pandemia che ha costretto i parlamentari di maggioranza a essere presenti in aula con tanti saluti alle precauzioni sul distanziamento sociale.
A questo punto si può serenamente dire che Salvini crede davvero nella barzelletta di Borghi e Bagnai secondo cui l’Italia starebbe meglio se battesse moneta come noccioline e nonostante i precedenti del Venezuela e dell’Argentina. È questo il problema italiano, Matteo Salvini.
Conte e i grillini sono figuranti, il problema dell’Italia oggi è Salvini