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Conte guarda al 2023: riforme di legislatura per la stabilità del Paese

GOVERNO

Tra le urgenze il successore di Fioramonti: ieri scintille tra l’ex ministro e il M5S

di Manuela Perrone

28 dicembre 2019


Lorenzo Fioramonti (Agf)

3′ di lettura

Giuseppe Conte affronta la conferenza stampa di fine anno con il sollievo di aver condotto in porto la manovra economica e con la necessità di rafforzare la sua maggioranza. Oggi lo sguardo del premier sarà rivolto non al passato, ma al futuro: l’Agenda 2023, il cronoprogramma delle riforme di legislatura per «assicurare la stabilità che serve all’Italia». Cantiere che Luigi Di Maio, ieri in un colloquio telefonico, gli ha chiesto di aprire subito dopo l’Epifania, sollecitando i capidelegazione.

Ma dietro gli annunci ci sono le urgenze. La prima è sostituire al più presto, entro la prossima settimana, il dimissionario ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, in rotta di collisione con i vertici M5S e dato in procinto di passare al gruppo Misto. In pole per la successione c’è l’attuale sottosegretaria al Miur, Lucia Azzolina, anche se continuano a circolare i nomi dell’ex sottosegretario nel Governo gialloverde Salvatore Giuliano, di Nicola Morra e di Francesco D’Uva. La seconda urgenza è sminare il terreno dalle fibrillazioni che agitano i Cinque Stelle e che potrebbero riverberarsi sulla tenuta dell’Esecutivo.

Ieri è andata in scena la resa dei conti tra Fioramonti e lo stato maggiore M5S, con il viceministro allo Sviluppo economico, Stefano Buffagni, che gli ha indicato l’uscita: «Se Fioramonti sogna di fare il capo politico, o lanciare il suo movimento verde sono fatti suoi legittimi, ma sono certo che se uscirà dal Movimento si dimetterà. Non restituisce da dicembre 2018 e non sta rispettando gli impegni presi con i cittadini». Pomo della discordia è sempre la questione calda delle restituzioni. Già due giorni fa, all’indomani dell’ufficializzazione delle dimissioni, fonti pentastellate avevano puntato il dito contro il fatto che i rimborsi del titolare del Miur, deputato Cinque Stelle, fossero fermi a dicembre 2018: mancherebbero all’appello circa 70mila euro. Ieri in un lungo post su Facebook Fioramonti si è detto stupito degli attacchi e si è difeso.

«In tanti – ha spiegato – abbiamo contestato un sistema farraginoso e poco trasparente di rendicontazione». I malumori sono reali, tanto che sono venti in tutto i parlamentari nella stessa situazione dell’ex ministro e appena 23 quelli perfettamente in regola. Molti contestano l’obbligo di versare i circa 2mila euro che ogni eletto deve restituire mensilmente sul nuovo conto intestato a Di Maio e agli ex capigruppo, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, componenti del «comitato per le rendicontazioni e i rimborsi». Un passaggio intermedio, che era stato deciso per evitare nuove “rimborsopoli” e che non consente più ai singoli deputati e senatori di devolvere le somme direttamente al Fondo per il microcredito del Mef.

Fioramonti sostiene di aver continuato a versare nel conto del Bilancio dello Stato e ha annunciato che le ultime restituzioni andranno al Tecnopolo Mediterraneo per lo Sviluppo Sostenibile, «un centro di ricerca pubblico che, da viceministro prima e da ministro poi, ho promosso a Taranto, una città deturpata da un modello di sviluppo sbagliato, e invito altri parlamentari a fare lo stesso, non appena il conto sarà attivo». Dal Mise si sono affrettati a precisare che è impossibile fare versamenti alla fondazione Tecnopolo perché «non c’è ancora uno statuto istitutivo».

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