La “quadra”, come avrebbe detto ai suoi tempi Umberto Bossi, è abbastanza dorotea (con tutto il rispetto per i dorotei) per accontentare tutti. Con una piroetta che contraddice se stesso e anche il senso comune, Giuseppe Conte prova a uscire dall’angolo con la solita tattica del rinvio, e su quel Mes che spacca la maggioranza se la prende comoda: «Parlo da Premier e da avvocato, prima di dire se un finanziamento conviene o meno al mio Paese voglio prima battermi perché non abbia, in linea di principio, condizioni vessatorie di alcun tipo».
Insomma, lasciatemi lavorare e poi vedremo. Linea concordata con Zingaretti e Gualtieri per spegnere i bollori dei grillini, scatenati sulla linea no-Mes che nemmeno Salvini, linea che verrà portata il 21 in Parlamento dove l’avvocato del popolo terrà solo una “informativa” senza voto, tanto per sfangarla. Ma come ci spiega Carlo Calenda, «tutto questo non ha senso perché comunque le regole che riguardano la restituzione, le sue modalità, verranno discusse dopo: ed è sicuro che gli olandesi non hanno rinunciato alle loro ben note posizioni. È tutto apertissimo. Conte dovrebbe dire che quei soldi li prendiamo, stop».
E tuttavia i marchingegni della politique politicienne non nascondono la sostanza di un quadro politico che ha preso a fibrillare forte, prima del previsto. Per capirlo basta mettere insieme i tasselli del puzzle: l’incapacità del governo nell’organizzazione dell’immediato futuro, la violenta polemica fra Pd e M5s sul Mes, le gelosie fra Giuseppe Conte e Vittorio Colao (che infatti non è stato nominato ministro per timore che faccia ombra al premier), persino il protagonismo delle procure e i sospetti di malgoverno locale stanno creando un clima brutto, pericoloso, che fino a pochi giorni fa non c’era. Di qui a prevedere uno show down certo ce ne corre. Calenda ci ha detto la sua opinione: «Servirà un governo più largo e autorevole non appena saremo investiti da una seria crisi finanziaria».
Si vedrà presto, un paio di mesi se non prima, perché Conte continua a godere dell’appoggio del Quirinale e tuttavia si sta indebolendo ogni giorno, se persino un moderato come Pierferdinando Casini dice che «è finita l’ora dei dilettanti». Il Pd, che in ultima analisi ha in mano il boccino della partita, confida nell’aggiustamento del quadro di governo, non avendo ancora maturato una linea diversa da quella del piccolo cabotaggio attuale.
Il governo infatti è squassato dalla controversia sull’utilizzo del Mes senza condizioni. Le novità sono due, di grande rilievo. Lo sganciamento del Pd da Conte (adesso persino i membri del governo si dissociano dalla posizione oltranzista e grillina del premier): è la prima volta, in modo così plateale.
L’uscita dal letargo del partito del Nazareno ha innescato una reazione furiosa dei grillini, riportando a galla la contraddizione di fondo di una coalizione nata rocambolescamente e perciò non attrezzata a una sfida immane come questa. E, secondo fatto, la rottura del centrodestra provocata dalla posizione europeista e filo-Mes di Berlusconi.
Ecco dunque che il sistema politico improvvisamente si delinea lungo un nuovo asse, europeisti contro anti europeisti-populisti, così che il Pd si trova insieme a Renzi, Bersani e un Berlusconi – nota Calenda – che «è diventato un interlocutore per un nuovo governo», mentre dall’altra parte gli anti-Mes sono il M5s, la Lega e Fratelli d’Italia. Se vogliamo, è una dislocazione più naturale e più rispondente al dna delle forze politiche, che però rende più incerta la posizione del presidente del Consiglio costretto in un amletismo furbo e sgusciante.
D’altra parte la rottura del Cavaliere ringalluzzisce una Forza Italia lasciata negli ultimi tempi alla mercè dell’opa salviniana e che ora si trova inaspettatamente in una zona più centrista, se non centrale, del quadro politico.
Uno scenario pessimo per Conte, che rischia di passare alla storia come un Sor Tentenna dinanzi all’incrocio pericoloso di diversi problemi, quello strettamente politico, quello economico (si va verso un crollo del Pil forse a a doppia cifra), quello sociale, innescato da una gigantesca incertezza sul da farsi. La domanda è sempre quella: quando si riaprirà, e che cosa riaprirà, e come? Mentre gli altri Paesi hanno più o meno deciso cosa fare, l’Italia – d’altra parte la più flagellata dal Covid19 – ha voglia di aprire ma ha paura.
Ed è il governo per primo ad aver paura, e a trasmetterla al Paese; né giungono dagli scienziati quelle rassicurazioni che sarebbero necessarie: non possono darle, semplicemente, perché ancora non sono in grado di avere un quadro chiaro della situazione; e meno che mai il super-comitato di Colao sembra nelle condizioni di fornire soluzioni concrete ad un presidente del Consiglio che brancola nel buio.