Preoccupazione e cautela. Sono questi i due «sentimenti» che in questa fase coesistono a livello europeo sull’Italia. Vale per la Commissione come vale per i ministri finanziari dell’Eurogruppo. Dalla riunione del 17 maggio dell’Ecofin a 28 non sono emerse novità né nuove indicazioni o moniti al governo italiano. Secondo quanto risulta, la richiesta formale al Tesoro di chiarire i punti di vista italiani sulle ragioni della violazione della regola del debito nel 2018, una situazione che in teoria può portare all’apertura di una procedura europea, arriverà a Roma solo dopo il voto per il rinnovo del Parlamento Ue (probabilmente il 27 maggio).
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Procedura? Tutto da vedere
Che l’avvio di una procedura sarà la decisione finale della Commissione è tutto da vedere. Tuttavia le pressioni affinchè dia sull’Italia «una risposta chiara» sono molto forti: provengono soprattutto da Austria e Olanda. Berlino mantiene un profilo basso, ma l’allarme per il corso della politica italianna resta massimo. E così anche per il rischio spread. Intanto è confermato che la Commissione il 5 giugno presenterà analisi, valutazioni ed eventualmente decisioni. Il 13 giugno si riuniranno a Lussemburgo i ministri finanziari: il prossimo «round» sull’Italia sarà in quel momento.
Le minacce di Salvini a Bruxelles
Il motivo per cui all’Eurogruppo e alla Commissione prevalgono le preoccupazioni per la piega che può prendere la politica italiana sulla finanza pubblica sono ovvie: non passa giorno che il vicepremier Matteo Salvini non rincari la dose di attacchi al quadro delle regole europee sui bilanci e annunci la necessità di sforare i «tetti» di deficit, lasciar correre il debito pubblico. Si intravvede un rischio serio che l’Italia prenda una deriva pericolosa per l’area monetaria. Né bastano le rassicurazioni del premier Conte. In ogni caso, a Bruxelles e nelle capitali si è deciso che occorre aspettare la chiusura delle urne e vedere che cosa resterà sul tavolo di tutto questo.
L’incognita delle elezioni
Se gli annunci barricaderi (contro le regole economiche Ue) si tradurrano in scelte politiche oppure no. E, soprattutto, se il voto Ue avrà delle ripercussioni sulla stabilità del governo oppure no. In realtà è quest’ultima la vera questione aperta, non certo l’eventualità che il risultato delle elezioni europee porti a un ribaltamento delle regole di bilancio che richiederebbero un lungo processo di revisione del Trattato. Peraltro i governi attualmente in carica vi resteranno ancora per un pezzo essendo il ciclo elettorale Ue sganciato dai cicli elettorali nazionali.
La linea Moscovici
A Bruxelles si continua a tener fede alle parole e agli impegni pattuiti a fine dicembre con il governo italiano di cui è garante il premier Conte. Impegni scritti nella legge di bilancio 2019. Quella è la base di ogni discussione, ha spiegato il commissario Moscovici. Tuttavia non sfugge che quegli impegni appaiono impossibili da raggiungere senza una correzione finanziaria in corso d’opera per quest’anno mentre per il 2020 si profila una manovra di bilancio molto pesante, ben superiore a 30 miliardi di euro. Un onere che né il M5S né la Lega vogliono assumere. Se Bruxelles prenderà per buona la visione italiana che ci sono «fattori rilevanti» che giustificano nel 2018 l’aumento del debito/pil (bassa crescita e bassa inflazione), l’Italia si avvarrà ancora una volta di una tregua di qualche mese. Per la Commissione sarà più difficile fronteggiare le pressioni di vari governi (del Nord ma non solo) che ora non nascondono più l’esasperazione per le mosse dell’Italia. D’altra parte, la Commissione è in scadenza, dunque oggettivamente debole. In autunno ci sarà la nuova (da novembre salvo complicazioni legate alla Brexit) e sarà un’altra cosa.
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)
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