Il partito che nacque a vocazione maggioritaria, che cercò la sintesi tra la parte presentabile della tradizione comunista e quella cattolica democratica, che riportò l’unità a sinistra, che divenne borghese, industriale e liberale, che abbracciò la globalizzazione, i diritti civili e il XXI secolo, che sposò l’Europa e le alleanze transatlantiche, che fu la casa della libera circolazione di persone, merci e idee e che provò a riformare la Costituzione in modo da garantire la governabilità da paese adulto, be’, proprio in queste ore, quello stesso partito che nonostante mille difetti ha salvato un paio di volte l’Italia dal default cui l’aveva destinata prima la destra e poi i populisti, e in entrambi i casi c’era la Lega, sta per consegnarsi mani e piedi a Beppe Grillo e ai suoi scalzacani con un contratto di governo o alleanza strategica che dir si voglia e a Matteo Salvini e ai suoi fascio-sovranisti con un patto sulla legge elettorale.
Ci sono varie cose stravaganti in questa strategia del Partito Democratico: intanto sia l’alleanza con Grillo sia il patto con Salvini sono dettati principalmente dalla necessità di isolare Matteo Renzi, ma la cosa più grottesca di tutte è che l’alleanza con i Cinque stelle è pura sottomissione culturale nei confronti dei populisti e dei forcaioli di Grillo, come dimostrano i primi mesi del governo Conte 2 sul reddito di cittadinanza, sulla bufala dei navigator, sulle app del Mississippi del chiarissimo professor Mimmo Parisi, sui decreti dignità, spazzacorrotti e sicurezza, sulla prescrizione, su «mister Ping», su quota cento e su tutto il resto.
L’unica volta che il Pd ha avanzato una proposta sua, quasi a voler dimostrare a se stesso di essere vivo, cioè il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati regolari che sono nati e cresciuti in Italia, è bastato uno «sconcertatante» di Di Maio per ritirarla e far chiedere scusa per aver osato così tanto. Stiamo parlando di un Pd che non esclude che l’alleanza strategica, non solo il governo, possa essere guidata dall’azzimato segnaposto di Casaleggio teleguidato da Casalino, l’altro chiarissimo professor Giuseppe Conte, grande palleggiatore, quando era evidente che Nicola Zingaretti doveva porre una sola condizione al Presidente della Repubblica e a Di Maio per formare il nuovo governo: sostituire Conte. Ma, appunto, non c’era nessuna voglia di discontinuità, soltanto paura che Renzi rubasse nuovamente la scena.
Come se non bastasse, adesso c’è in ballo anche l’asse con Salvini sulla legge elettorale, un patto del Papeete più che del Nazareno siglato proprio da quelli che storcevano il naso sull’accordo Renzi-Berlusconi per cambiare la Costituzione, ma che ora sono prontissimi ad approvare nuove regole purché mettano in difficoltà il partito di Renzi e non importa se accorciano la strada verso i pieni poteri di Salvini.
L’ossessione antirenziana del Partito democratico e di gran parte della classe dirigente del paese andrebbe studiata seriamente, al netto degli errori diciamo napoleonici dell’ex premier. Non è un’ossessione molto diversa da quella antiberlusconiana e anticraxiana del passato più o meno recente, ma mentre Berlusconi e Craxi erano avversari diretti del fronte post comunista, questa nei confronti del leader di Italia Viva ha connotati masochistici perché è iniziata nel momento in cui Renzi era il segretario e il presidente del Consiglio del Pd che ha raccolto la percentuale di voti più alta nella storia del partito e non si è sopita nemmeno quando, grazie anche a questa fissazione, Renzi è diventato il segretario del Pd che ha preso meno voti nella storia del partito.
Adesso, dopo la scissione, il Pd e Italia Viva sono forze politiche concorrenti: Renzi ha detto chiaramente di voler fare come Emmanuel Macron, cioè di voler svuotare il Partito democratico e anche Forza Italia, e quindi è perfettamente legittimo che il Pd si difenda e che veda di buon occhio l’iniziativa chiamiamola renziana di Carlo Calenda, così si arrabbiano entrambi, sia Renzi sia Calenda. Ma allearsi strategicamente con i Cinque stelle e quindi, a meno di un altro colpo di scena, perdere di nuovo Calenda, oltre che ogni credibilità, e poi stringere un patto con Salvini per cucirgli addosso la legge elettorale che preferisce e poi consegnargli il paese non sembra rientrare tra le idee più brillanti di questo scorcio di XXI secolo.
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