Il presidente della Repubblica può esser messo sotto accusa secondo l’articolo 90 della Costituzione in caso di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. La decisione finale spetta alla Corte Costituzionale
Impeachment: anche in Italia è tornato di moda questo termine che significa “messa sotto accusa del presidente della Repubblica”. E’ previsto all’articolo 90 della Costituzione, in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.
In Italia la decisione finale non spetta neanche al Parlamento, ma alla Corte Costituzionale e pur essendo stato più volte evocato non si è visto mai completare il suo percorso. La fase di impeachment inizia con la richiesta di messa in stato d’accusa presentata, con tutta la documentazione inerente, al presidente della Camera. Poi viene trasmessa a un Comitato formato dai componenti della giunta per le autorizzazioni a Procedere di Senato e Camera.
Qui, se stabilita la legittimità dell’accusa, dopo un verdetto votato a maggioranza, viene presentata una relazione al Parlamento riunito in seduta comune. Il ‘dossier’ a questo punto può essere archiviato o posto in votazione nell’Aula riunita sempre in seduta comune che deciderà sull’autorizzazione a procedere. Nel caso in cui non siano avanzate richieste di ulteriori indagini, si apre la discussione sulla competenza parlamentare dei reati imputati. Se la relazione propone la messa in stato d’accusa, il voto è a scrutinio segreto e la destituzione scatta solo se si raggiunge la maggioranza assoluta.
La questione passa infine alla Corte Costituzionale che, coadiuvata da sedici giudici aggregati estratti a sorte, potrà, dopo un vero e proprio processo, emettere la sentenza inappellabile.