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Così si chiude l’annus horribilis dei Cinque Stelle (ma soprattutto di Di Maio)

Finisce l’anno mestamente per il Movimento Cinque Stelle. Pesa sempre di meno, nell’opinione pubblica come nel governo. Lì c’è Conte, c’è il Pd, c’è Italia viva. Ma Di Maio? Non è decisivo come una volta. Esempio recentissimo: il Piano per l’Innovazione tecnologica della ministra Pisano (quello con i ringraziamenti a Casaleggio, per intenderci) stoppato da Franceschini in pieno Cdm. Sulla vexata quaestio delle concessioni autostradali, idem. Per non dire della allucinante polemica sul Mes, finita in frigorifero. O dell’impasse di Patuanelli su Alitalia. L’impressione insomma è che il Movimento si agiti molto ma non tocchi palla.

Eppure non era così all’inizio del Conte bis. Due bandierine le avevano piantate, anche grazie ad un’incomprensibile arrendevolezza del Pd: il taglio del numero dei parlamentari e lo stop di Bonafede alla prescrizione. Ma qualcosa è cambiato.

Intanto, destino cinico e baro, hanno perso quel Giuseppe Conte da loro inventato e da altri valorizzato: magari se lo troveranno persino contro quando si voterà, pronto a fregargli voti moderati e “perbene”.

Ma il punto vero è che è sempre più evidente la tenaglia che sta stritolando Di Maio, ormai apertamente messo sotto accusa da vari settori del Movimento e incapace di portare a casa qualche risultato tangibile. E la tenaglia è data dal populismo sovranista e di destra di Salvini da un lato e dalla maggiore capacità professionale, istituzionale e politica del Pd dall’altro. Finché doveva trattare “solo” con la Lega, con cui peraltro condivideva un alto tasso anti-istituzionale, giustizialista e xenofobo, per i grillini la storia era relativamente semplice – tra l’altro aveva Conte dalla sua. Adesso che deve difendere il suo orticello populista dalla ben più attrezzata Bestia leghista e contemporaneamente trattare con i più esperti dem e con il premier ormai distante, la partita è diventata troppo greve per le esili spalle del ragazzo di Pomigliano.

In altre parole, lo spazio vitale del Movimento è eroso da due lati, mentre l’iniziativa nella società ristagna del tutto e ogni tornata elettorale è un Calvario (dopo quella umbra si avvicina la figuraccia emiliana).

Facile, in queste condizioni, smarrirsi, mantenere un centro di gravità permanente, dare una prospettiva alla propria azione. Di Maio prova a metterci una pezza ricordandosi all’improvviso di essere anche ministro degli Esteri e inventando per sé il ruolo di gran mediatore sulla Libia: sembra una barzelletta ma è realtà.

I sondaggi registrano flessioni a gogò ma probabilmente continuano a sovrastimare il partito di Di Maio. Il neo-bipolarismo agognato da Zingaretti sta diventando reale almeno nel senso di tagliare fuori l’antipolitica “né di destra né di sinistra” tanto è vero che il fenomeno delle Sardine si colloca esattamente contro questo preteso neutralismo, e caso mai avanzano nuovi player “moderati” ma tutt’altro che antipolitici. Forse non scegliere fra destra e sinistra (senza peraltro definire cosa significhi essere di centro) non regge più. In questo quadro non ci sarebbe da stupirsi se Il M5s si collocasse sul 10%.

La crisi dei grillini è dunque il dato più impressionante di questo finale d’anno, se si pensa che è il partito più forte in Parlamento. Lo scadimento della lotta interna è arrivato ormai a un punto drammatico: volteggiano gli avvoltoi sulle difficoltà del Capo politico, e su questo punto ne vedremo presto delle belle. Per ora resta questo triste Natale dickensiano, nessun regalo sotto lo Spelacchio di Luigi Di Maio e tantissime incognite sul suo futuro.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/24/cinque-stelle-di-maio-libia/44865/

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