Due gli obiettivi dei pentastellati: convincere il Pd a rinunciare alla ricandidatura dell’ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, e così persuadere i recalcitranti pentastellati locali a un’eventuale intesa con i dem
di Manuela Perrone
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Nei palazzi romani se ne parlava da mesi, ma ieri il M5S ha scoperto le carte proponendo il ministro dell’Ambiente Sergio Costa a candidato governatore in Campania e invitando gli alleati di governo a convergere su di lui con un “progetto condiviso”. Il nome di Costa serve a due obiettivi: tentare di convincere il Pd a rinunciare alla ricandidatura dell’ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, e così persuadere i recalcitranti pentastellati locali a un’eventuale intesa con i dem.
Ora si apre la trattativa
Il successo dell’iniziativa è tutto da verificare, dal momento che la direzione regionale del Pd lunedì 10 febbraio ha approvato all’unanimità la scelta di De Luca. Ma un deluchiano doc come il presidente regionale Leo Annunziata ha aperto al confronto istituendo una delegazione apposita. In sintesi: partirà una trattativa, che insieme ai nomi dei candidati riguarderà tutte le possibili contropartite, dall’eventuale ruolo alternativo per De Luca, se dovesse rinunciare alla corsa, ai giochi nelle altre Regioni (dalla Puglia alla Liguria) fino alla casella del ministero, se Costa dovesse lasciarla libera.
Da dove nasce la scelta di Costa
Perché lo stato maggiore del Movimento, da Luigi Di Maio a Roberto Fico, ha indicato il ministro dell’Ambiente? Le ragioni sono molte. Costa è noto in Campania per aver combattuto prima da comandante regionale del Corpo forestale e poi da generale dei Carabinieri il dramma del traffico illecito dei rifiuti e della Terra dei fuochi, quel territorio tra le province di Napoli e Caserta devastato dai roghi. È per questo che Di Maio lo aveva individuato come ministro dell’Ambiente in pectore, ottenendone la nomina già nel primo Governo Conte.
La convivenza difficile con la Lega
Con i leghisti Costa, nato a Napoli nel 1959, laurea in Scienze Agrarie e master in Diritto dell’ambiente, non ha avuto vita facile. È stato spesso duramente attaccato da Matteo Salvini, che gli ha contestato in particolare l’opposizione alle nuove trivellazioni petrolifere. Ma Costa ha tenuto il punto, anche dopo l’approvazione della norma ad hoc nel decreto semplificazioni, ribadendo il suo “no” a nuove autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi in mare. Non è però riuscito a far vedere la luce al più volte annunciato disegno di legge “Terra mia” che avrebbe dovuto introdurre il Daspo per le aziende che inquinano. E ha dovuto ingoiare il rospo del via libera al gasdotto Tap in Puglia, al condono edilizio per Ischia voluto da Di Maio e alla Tav Torino-Lione.
La rivincita nel Governo giallorosso
Con la nascita dell’Esecutivo Conte Due Costa ha tirato un sospiro di sollievo. Il Green new deal è diventato il pilastro del programma. A novembre è stato approvato il “decreto ambiente”, salutato come il primo passo della svolta verde, anche se vale appena 450 milioni del triennio e si limita a pochi progetti sperimentali, dalla rottamazione di auto e moto inquinanti per favorire l’acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico e biciclette ai green corner nei negozi per la vendita di prodotti sfusi. Ma entro marzo è atteso il collegato ambientale, dove Costa intende inserire norme per il green public procurement, per accelerare le bonifiche dei siti contaminati e per contrastare il consumo di suolo.
La lotta alla plastica e al dissesto
Dal suo ministero è uscito il disegno di legge Salvamare, approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, che punta a favorire il recupero della plastica in mare e il suo riciclaggio, ma anche il Ddl CantiereAmbiente, anch’esso fermo a Palazzo Madama, con le misure per velocizzare gli interventi contro il dissesto idrogeologico, altra battaglia cara al ministro che gestisce una parte degli 11 miliardi in tre anni stanziati per il Piano Proteggi Italia.
La scommessa M5S, i timori Pd
È per questa caratterizzazione fortemente ambientalista e legalitaria che i Cinque Stelle scommettono su Costa. Confidando nel sostegno di una parte del Pd, quella che fa capo ad Andrea Orlando e al segretario provinciale di Napoli Marco Sarracino. Ma non tutti sono d’accordo: il timore è che rinunciando a De Luca, che nel 2015 sconfisse con il 41% delle preferenze il governatore uscente del centrodestra, l’azzurro Stefano Caldoro, si possa consegnare anche la Campania alla destra.
De Luca inaccettabile per i Cinque Stelle
Per il M5S, però, il nome di De Luca è inaccettabile. D’altronde sono sue le più caustiche definizioni di Di Maio, bollato negli anni come «noto sfaccendato» e «carpentiere mancato». Non che i Cinque Stelle non lo abbiano ricambiato. Di Maio stesso ha accusato i politici locali di essere stati «gli assassini della mia gente» e di aver boicottato il reddito di cittadinanza nella Regione. Il punto di caduta della trattativa, dunque, non potrà mai essere il governatore attuale. E se neanche Costa riuscirà a superare lo stallo, non si esclude che possa palesarsi un terzo nome. Faide nel Pd permettendo.
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