Se Matteo Renzi, Emma Bonino e soprattutto Carlo Calenda non litigheranno prima su Twitter – chiudetelo ’sto Twitter, santoiddio – si potrebbe finalmente concretizzare l’ipotesi di una favolosa “alleanza contro gli stronzi”, di cui da mesi parliamo su queste colonne, intanto alle regionali in Puglia ma anche alle suppletive romane, napoletane e ternane. Un Pd ormai consegnatosi al populismo di governo ha scelto di schierare Michele Emiliano in Puglia contro Raffaele Fitto, quest’ultimo leader di un partito ossimoro, Conservatori e Riformisti, come se si potesse essere contemporaneamente laziali e romanisti, nell’ambito del centrodestra salviniano.
Di fronte a un’alternativa di questo tipo che, a prescindere dalla legge elettorale, non sarà molto diversa da quella che vedremo alle prossime elezioni nazionali, Renzi ha proposto di cercare un candidato alternativo, raccogliendo l’adesione di Più Europa e quella di Azione, da contrapprre a un protogrillino come Emiliano, ritenuto da Calenda «il peggior governatore d’Italia», e ovviamente anche a uno come Fitto, il conservatore riformista, qualunque cosa voglia dire.
Vedremo che cosa faranno Voce Libera di Mara Carfagna ed Energie per l’Italia di Stefano Parisi, ma tra fine febbraio e inizio marzo ci saranno anche le elezioni nei collegi uninominali a Roma, Napoli e Terni, dove due anni fa vinsero rispettivamente il Pd, i Cinquestelle e la Lega: se Salvini dovesse scegliere candidati sovranisti, giustizialisti e filo russi, siamo sicuri che Carfagna e Parisi, e soprattutto gli elettori della fu Forza Italia, resteranno nei ranghi di una destra a trazione nazionalista? Oppure si guarderanno attorno, cosa che peraltro fanno da tempo? È così improbabile immaginare una convergenza, chiamiamola atlantica, con Renzi, Calenda e Bonino, nel caso dalla loro parte Zingaretti e Casaleggio scegliessero di anticipare la famigerata alleanza strategica tra Pd e Cinque stelle?
Renzi, Bonino, Calenda, Carfagna e Parisi, ma anche quella parte del Partito democratico, da Giorgio Gori a Matteo Orfini, che non si arrende all’umiliazione di sottoporsi al giudizio di Rousseau, hanno molti più punti in comune di quanti loro stessi vogliano ammettere e, per la prima volta, hanno anche l’occasione di mettere da parte le gelosie e le antipatie reciproche e di dare l’opportunità a chi non si rassegna a un’Italia divisa tra populisti e sovranisti di costruire un soggetto politico liberale, democratico, riformatore, europeo e occidentale.
Fate presto (e speriamo che a Calenda finiscano i giga).
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