Lega, Fi e Fdi spingono per anticipare il voto del Senato sulla sfiducia al premier. Sulla carta il fronte del rinvio al agosto è in vantaggio. Tra le ipotesi Conte-bis, Cantone e Cartabia
di Emilia Patta
Riunuione dei capigruppo al Senato (Ansa)
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Da una parte il ritrovato asse tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, che chiede per il agosto la calendarizzazione nell’Aula del Senato delle comunicazioni del presidente Giuseppe Conte e dell’eventuale voto di sfiducia (Conte potrebbe sempre dimettersi dopo le comunicazioni senza farsi sfiduciare). Dall’altra l’inedito asse tra Pd, Ms, Leu e gruppo misto che chiede la calendarizzazione per il agosto. L’attesa capigruppo non scioglie il nodo, e visto che i regolamenti di Palazzo Madama prevedono il voto dell’Aula nel caso in cui non ci sia l’unaninità sarà oggi l’Aula stessa a decidere sul calendario. Sulla carta il fronte antisalviniano del agosto ha la maggioranza: al netto dei senatori che probabilmente non ce la faranno a rientrare dalle ferie, si calcolano teste ( su del Ms, su del Pd e senatori del gruppo misto) contro i voti potenziali di Lega, Fi e Fdi. Si va dunque verso la parlamentarizzazione della crisi il , e l’eventuale ritiro dei ministri della Lega ventilato ieri da Matteo Salvini non dovrebbe comunque cambiare il timing.
L’agitazione sui tempi, si sa, è anche legata alla possibile data del voto – che Salvini vuole il prima possibile, a fine ottobre – nonché alla possibilità che con più giorni a disposizione possa emergere con più chiarezza la possibilità di un’altra maggioranza per evitare il precipitoso ritorno alle urne in piena sessione di bilancio. Per questo la decisione della presidente del Senato Elisabetta Casellati, di Forza Italia, è stata duramente criticata dal capogruppo del Pd Andrea Marcucci come una «forzatura inaccettabile»: il regolamento prevede almeno giorni, di norma, per convocare l’Aula per il calendario. Ad ogni modo oggi l’asse anti-salviniano sul calendario dovrebbe passare, e molti tra i pentastellati e i democratici ci vedono una sorta di prova generale per una possibile maggioranza alternativa. Che sia un governo «istituzionale» per evitare il rischio di esercizio provvisorio come proposto a sorpresa dall’ex premier Matteo Renzi o un governo di legislatura come chiedono alcuni autorevoli esponenti del Pd come Dario Franceschini e, ieri, anche la vicesegretaria Paola De Micheli poco importa. L’importante, dal punto di vista del Quirinale, è che emerga una maggioranza chiara dei gruppi e non di una parte di essi (per questo per far partire l’operazione è fondamentale il sì del segretario dem Nicola Zingaretti, come scriviamo nella pagina accanto) e che si abbiano chiari anche gli obiettivi di tale esecutivo.
Una volta votata la sfiducia al premier Conte, partiranno dal giorno dopo le consultazioni al Quirinale dei partiti e solo allora Sergio Mattarella scoprirà la sue carte. Ma da parte del Presidente non ci sarà ad ogni modo alcuna forzatura: la linea resta quella del rispetto del confronto tra i partiti. Se non dovessero emergere indicazioni chiare in favore di una nuova maggioranza le consultazioni dureranno prevedibilmente un paio di giorni al massimo, dopodiché si potrebbero sciogliere le Camere a fine mese per poter votare a fine ottobre o al massimo ai primi di novembre. In questo caso, anche per espressa disponibilità di Salvini a dimettersi dal Viminale, è probabile che il Capo dello Stato nomini un presidente del Consiglio e un governo – anche senza fiducia in Parlamento – con il solo scopo di traghettare il Paese alle urne in un clima il più possibile sereno.
Per questo i fautori del governo salva-conti o di legislatura che dir si voglia hanno poco tempo per far emergere la volontà dei gruppi interessati (al momento Ms, Pd e Autonomie, ma sono in molti a giurare che se il governo dovesse partire si unirebbe anche Forza Italia). Fondamentale è il consenso all’operazione di Zingaretti, e fondamentale è il nome del presidente del Consiglio di tale nuovo governo. In ambienti parlamentari ieri circolava con forza l’ipotesi, naturalmente gradita ai pentastellati, di un Conte-bis. Ipotesi che tuttavia al momento i “due” Pd – quello di Renzi, che ha la maggioranza dei gruppi parlamentari, e quello di Zingaretti, che ha la maggioranza negli organi di partito – non prendono neanche in considerazione: «Non ci si può accordare con chi ha avallato tutte le scelte della Lega», è il refrain.
Fra le ipotesi quella di un esecutivo guidato dal presidente uscente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone. Tra i nomi sul tavolo anche quello di due donne: il segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, e la giudice costituzionale Marta Cartabia.
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