È il turno dei Cinque Stelle, per l’appunto. Che non vogliono andare a votare (dimezzerebbero consensi e parlamentari), che vogliono accreditarsi a Bruxelles per strappare uno strapuntino nella grandissima coalizione che sta nascendo (ma Macron incontra tutti tranne Conte) e che tuttavia non vogliono intestarsi da soli una manovra politicamente suicida. Completato il capolavoro screditando Di Maio, che ora vale come il due di picche a briscola, i fu grillini stanno a guardare, inermi e incapaci di prendere decisioni. Nei fatti, per l’ennesima volta, avallando il disegno leghista senza riuscire a monetizzare il consenso, un po’ come coi porti chiusi. Se va avanti così, sarà un massacro.
Anche perché la sponda del Pd, per ora, non esiste. In questa crisi i dem stanno giocando al gatto col topo. Per Zingaretti, infatti, il voto sta diventando la scelta migliore ogni giorno che passa. La crisi dei Cinque Stelle e la polarizzazione con la Lega gioca tutta a favore dei dem, così come del resto la crisi dello spread e le difficoltà economiche dell’Italia (ieri le previsioni Istat sull’andamento del Pil hanno detto, per la prima volta, -0,1%). Settembre sarebbe perfetto, per ZIngaretti e i suoi: perché non darebbe tempo a Renzi e Calenda di formare un nuovo partito; perché potrebbe avere gruppi parlamentari a sua immagine e somiglianza, e maggior margine di manovra futuro, in caso di ulteriori situazioni di stallo; perché la manovra, in ogni caso, toccherebbe a Salvini e Meloni, con tanti auguri.
Rimane Mattarella, silente. L’unico che in questo momento preferirebbe la stabilità. Perché vuole Draghi al suo posto, tra due anni e mezzo, lo sanno anche i sassi ormai, e un parlamento dominato dalla Lega non sarebbe il miglior viatico possibile per l’attuale presidente della Bce. Perché è spaventato dalla piega che stanno prendendo gli eventi, sui mercati, e teme un rovinoso declassamento del rating del debito, a ottobre, che ci porterebbe a passo di carica verso il default. Perché è l’unico, in fondo, che non ha disegni elettorali in testa e che dal caos non capitalizza un bel nulla. Il mandato presidenziale a Giuseppe Conte è chiaro: tieni duro finché puoi. Quanto ci creda, pure lui, alle doti di mediatore dell’avvocato del popolo, non è dato saperlo.
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