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Da Grillo al “mandato zero” di Di Maio, la mutazione genetica del M5S

 

Servizioriorganizzazione al voto su rousseau

 

di Manuela Perrone

25 luglio 2019


Swg: Lega cresce nonostante il Russiagate, salgono M5S e Fi

5′ di lettura

“Mandato zero” per i consiglieri comunali, “facilitatori” nazionali e struttura regionale, possibilità di stringere alleanze con liste civiche a livello locale. Da oggi a domani i 100mila iscritti alla piattaforma Rousseau potranno votare online la nuova organizzazione del M5S annunciata da Luigi Di Maio, che tanta ironia ha scatenato sui social. Un passaggio maturato dopo il tracollo alle elezioni regionali, prima in Abruzzo e poi in Sardegna, che cade nel momento più delicato per la creatura politica fondata nel 2009 da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio. Creatura profondamente mutata: oggi subisce i contraccolpi di un’ascesa rapidissima – i Cinque Stelle sono entrati in Parlamento nel 2013 e sono arrivati a Palazzo Chigi nel 2018 – e soprattutto dell’alleanza con la Lega di Matteo Salvini. Sofferenza evidente anche se sono riusciti a coronare tre dei loro sogni: reddito di cittadinanza, taglio dei vitalizi e legge anticorruzione.

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C’era una volta un Movimento che tuonava contro la casta e i partiti tradizionali. Grillo era il megafono perfetto per veicolare la rabbia di tanti, grazie alla popolarità acquisita con gli spettacoli in giro per l’Italia, al blog aperto nel 2005 e al VDay del 2007. In un post dell’agosto 2009 spiegava così la genesi del Movimento: “È la voce di milioni di persone che non hanno voce nei telegiornali e in televisione, ma che saranno la voce dell’Italia di domani. L’Italia di persone oneste, trasparenti, pulite, che non vogliono centrali nucleari, inceneritori, discariche con rifiuti tossico-nocivi. Un’Italia di persone perbene”. E ancora: “Un movimento di democrazia diretta. Un virus che non si può fermare perché cammina attraverso le sue idee e i suoi programmi”. Da qui la necessità di dotarsi di un’organizzazione fondata sulla distinzione dalle forze classiche, anche linguistica: un “non statuto”, nessuna sede fisica, i meetup al posto delle sezioni sul territorio, la Rete (e il blog) come faro, il mito dell’”uno vale uno”, gli eletti chiamati “portavoce” per evitare l’odiato “onorevole”.

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C’era una volta un Movimento che si autodefiniva “orizzontale”. Ma la metamorfosi in partito ha proceduto per tappe fino a oggi, forse la più significativa. Già dal 2017 il M5S ha uno statuto vero e proprio, un capo politico (Luigi Di Maio), un comitato di garanzia, i probiviri. Il blog di Grillo è stato soppiantato dal blog delle Stelle come “voce” ufficiale e la piattaforma Rousseau, attiva dal 2016 dopo la morte di Gianroberto Casaleggio, funge da spazio “assembleare”. Ma nella sostanza la linea politica è da tempo decisa altrove. Paradossalmente nelle stanze dei palazzi romani che si prometteva di aprire “come scatolette di tonno” e lungo la direttrice con Milano, dove Davide Casaleggio presiede l’Associazione Rousseau. Questo centralismo così stridente con le promesse di orizzontalità delle origini ha di fatto impedito una vera crescita nei territori, come le regionali hanno dimostrato. Per questo adesso si cerca di correre ai ripari, sempre tentando di mascherare linguisticamente la trasformazione, al punto che qualche commentatore ha evocato la “neolingua” di orwelliana memoria. E così i componenti della segreteria nazionale – che saranno 12 responsabili di altrettanti temi, dall’economia alle infrastrutture – diventano “facilitatori”.

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