Alla fine della messa di Natale dell’anno 800 – come tutti sanno e come meglio di tutti racconta Henri Pirenne nella sua Storia d’Europa – papa Leone III, accostandosi al re dei franchi tra le acclamazioni del popolo, «gli pose la corona sul capo e, dopo averlo salutato con il nome di imperatore, si prosternò davanti a lui e lo “adorò”, secondo il cerimoniale bizantino».
L’intervista del cardinale Camillo Ruini sulla necessità di dialogare con Matteo Salvini, pubblicata domenica sul Corriere della sera, non avrà forse lo stesso impatto sulla storia del continente, ma quanto meno per la storia della politica italiana, e in particolare del centrodestra, ammesso che la definizione abbia ancora un senso, segna un passaggio non meno decisivo. Da un lato: la fine dell’Impero Berlusconiano e l’incoronazione di un nuovo leader, dotato di un nuovo potere e di una nuova legittimazione. Dall’altro, un provvisorio – ma forse anche definitivo – riassestamento in quella lunga diaspora dei cattolici che dalla crisi del 1992-93, con la fine della Dc e del feticcio della loro «unità politica», ha segnato l’intera vicenda della Seconda Repubblica. La scelta di Ruini è infatti anche la chiusura di un cerchio, dopo che, nell’altro campo, Dario Franceschini ha imposto la sua linea dell’alleanza strategica con i cinquestelle; dopo che Giuseppe Conte è persino andato ad Avellino per celebrare Fiorentino Sullo e la storia della Balena Bianca, omaggiato da tutti i più illustri decani della Dc, da Ciriaco De Mita a Nicola Mancino; dopo che l’intero Movimento 5 stelle è stato consacrato partito di governo sul più alto dei Colli, dove l’idillio degli ultimi anni è stato interrotto soltanto una volta, e per appena 48 ore – quelle necessarie a chiedere la messa in stato d’accusa del Capo dello Stato per attentato alla Costituzione – ma è evidente che dovette trattarsi di un bug nell’ultimo aggiornamento dell’algoritmo, considerando la rapidità con cui l’accusa venne ritirata e prontamente sostituita, appena 48 ore dopo, dalla definizione del Capo dello Stato come «angelo custode» del governo.
E così, se Franceschini a ottobre era arrivato a dire che Luigi Di Maio «sui dossier e sulle cose di lavoro è uno che approfondisce, uno che studia», il cardinal Ruini domenica non ha esitato a sostenere che persino il gesto di baciare il rosario nei comizi, da parte di Salvini, non è detto sia una semplice strumentalizzazione politica, ma «può essere anche una reazione al “politicamente corretto” e una maniera, pur poco felice, di affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico».
Naturalmente, come tutti i processi storici, anche l’ascesa dei cattopopulisti è un processo contrastato e non lineare, tanto dentro la chiesa quanto nel campo politico, e non solo perché l’alleanza tra democratici e cinquestelle appare tutt’altro che solida. Basta citare due significative eccezioni: Papa Francesco, per quanto riguarda la chiesa, e Matteo Renzi, per quanto riguarda i cattolici impegnati in politica. Va detto tuttavia che per entrambi – sia pure con significato e in contesti non solo diversi, ma per molti aspetti diametralmente opposti – gli avversari hanno tirato fuori l’accusa di «populismo», e anche, più specificamente, di «populismo sudamericano». Ma sto divagando.
Il punto è che all’inizio degli anni novanta fu proprio la spaccatura della Dc, con la rottura di Mario Segni e la nascita del movimento referendario, a dare avvio alla stagione del bipolarismo. Una scossa che si tradusse prima nella scissione del Centro cristiano democratico di Pier Ferdinando Casini, che aderì immediatamente alla coalizione berlusconiana, poi nelle più complicate vicende del Partito popolare e delle sue successive filiazioni. Mentre adesso, con l’ascesa dei cattopopulisti, sembra prendere forma un nuovo bipolarismo fondato sull’alternanza tra due forme speculari di populismo: un bipopulismo già preventivamente benedetto e consacrato dagli ultimi depositari dell’antica tradizione del cattolicesimo politco. E qui sta forse la differenza fondamentale con il ruolo svolto dalla chiesa tra la caduta dell’Impero romano e l’incoronazione di Carlo Magno: che allora i suoi uomini pensarono anzitutto a mettere in salvo – per tramandarlo ai posteri, cioè a noi – il patrimonio culturale che avevano ricevuto in eredità dalle età precedenti.
E oggi, via, lo sapete già.
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