Come prima, più di prima. Per i migranti e per i conti pubblici, siamo sempre lì, alla contrapposizione frontale con l’Europa cattiva. La matrigna austera che non ci lascia crescere, indifferente alle nostre difficoltà, insensibile alle nostre richieste d’aiuto. Il nemico. Succede se sforiamo coi conti pubblici, se scriviamo fregnacce sui Def e sulle note di aggiornamento al medesimo, per farceli approvare e poi fare tutt’altro, se brindiamo per un disavanzo da quaranta miliardi e poi non vogliamo ripagarlo, per poi voler fare altro disavanzo, di nuovo. Succede se i migranti continuano a sbarcare, nonostante noi avessimo promesso i porti chiusi, rifiutando la riforma del Trattato di Dublino e ignorando sdegnosamente ogni ricerca di confronto sul tema con gli altri Paesi europei, salvo poi averne bisogno, ogni volta, per redistribuire i richiedenti asilo.
Cosa che puntualmente avviene. Così come puntualmente ci viene concessa la flessibilità di non rispettare le regole, a patto che sia l’ultima volta. Dal 2015 a oggi è successo ogni anno. Ed è successo anche in relazione al Quantitative Easing, che secondo i falchi tedeschi come il presidente della Bundesbank Jens Weidman sarebbe stato un poderoso incentivo per i Paesi-cicala come l’Italia per fare nuovo debito destinato a finanziare interventi in spesa corrente. Quasi si offese, Matteo Renzi, al solo pensiero. RIsultato? È andata così ogni anno, da allora. Ma la colpa è dell’Europa, ovviamente.
Del resto, ogni anno c’è un’emergenza di cui Bruxelles non tiene conto – i migranti, il terremoto, la Brexit, i dazi di Trump – senza la quale non avremmo speso e saremmo stati nelle regole. Spendere è necessario per crescere, diciamo ogni volta, nonostante siamo tra quelli che spendono di più e crescono di meno. Ci mancano i soldi per gli investimenti, ammoniamo, nonostante i nostri soldi vadano sempre a finire ai pensionati o in mancette elettorali. Il prossimo anno facciamo una poderosa spending review, ché il Piano Cottarelli è sempre lì nel cassetto, pronto a essere tirato fuori. Ma è sempre colpa dell’Europa, ancora.
Ed è colpa dell’Europa – «che brilla della sua assenza», per usare le parole di Matteo Salvini, assente a tutti i tavoli europei dei ministri dell’interno – se sbarcano i migranti in Italia. Perché le navi battenti bandiera olandese con le capitane tedesche vengono qua a fare da pull factor, da magneti per barche e barchini, come se la gente scappasse dalle carestie, dalle guerre, o dall’inferno libico perché (forse) c’è Sea Watch che li soccorre prima che naufraghino. Perché Marsiglia e Rotterdam non aprono i loro porti ai migranti, come se la teoria del porto sicuro più vicino valesse solo per Tripoli, che porto sicuro non è. Perché Germania, Francia, Olanda e tutte le altre non accolgono nessuno, salvo poi accorgersi che la redistribuzione è realtà, e che Berlino si è fatta carico di una marea di richiedenti asilo più di noi, e pure di buona parte di quei presunti 600mila stranieri irregolari residenti in Italia che in Italia in realtà ci sono solo passati per andare a cercare fortuna oltre le Alpi. Ma ancora, è colpa dell’Europa.
E poi viene il momento in cui l’Europa deve decidere se comminarci una procedura d’infrazione, se debba o meno punirci per non aver rispettato le regole che noi stessi abbiamo firmato. Una su tutte, quella che dice che il rapporto tra debito pubblico e ricchezza prodotta deve diminuire, non aumentare. Sarebbe una punizione che fa male. Perché ci leverebbe un mare di fondi europei, quelli che spendiamo e quelli che ogni anno ci dimentichiamo di spendere – colpa dell’Europa, ovviamente. Perché ci metterebbe nei guai con le agenzie di rating, che hanno definito il nostro debito pubblico un gradino sopra alla spazzatura finanziaria – colpa dell’Europa. Perché renderebbe difficile il rifinanziamento del debito stesso, che già oggi ha tassi di rendimento a cinque anni che superano quelli del debito greco – colpa dell’Europa.
Viene il momento e noi facciamo gli sbruffoni. Anzi, sapete che c’è? Facciamo nuovo debito usando i debiti della pubblica amministrazione come esca per i cittadini. Ci riprendiamo l’oro della banca d’Italia. E poi abbassiamo le tasse a tutti, facciamo il salario minimo (ovviamente pagato quota parte dallo Stato), diamo i soldi alle famiglie, alle mamme, a chiunque abbia un voto da esprimere. Ma poi, quando la punizione sta per arrivare, ricominciamo a piangere. Non potete punirci, siamo un grande Paese fondatore. Non potete punirci, così uccidete l’europeismo degli italiani e “fate vincere Salvini”. Non potete punirci, vi trascineremmo tutti quanti nell’abisso. Non potete punirci, e anzi dovete coinvolgerci nelle nomine europee, nonostante le nostre due forze di governo siano quelle che più di chiunque altro in europa aveva scommesso sulla sconfitta di popolari, socialisti e liberali, che poi hanno vinto. Scommettiamo fin da ora: quando non ci puniranno – o rinvieranno la punizione – qualcuno dirà che “abbiamo vinto il braccio di ferro con Bruxelles”. Così come quando ci ritroveremo con un commissario europeo di peso, gentilmente concesso da Francia e Germania, nonostante tutto. Salvo poi dare la colpa all’Europa per il prossimo guaio.
Pensateci bene, voi che ve ne volete uscire: a chi darete la colpa, dopo?
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