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Dal deficit al 2,4% al decreto famiglia, i «round» Tria-Di Maio sulle coperture

L’ultimo stop del ministro dell’Economia Giovanni Tria a un provvedimento messo sul tavolo dai Cinque Stelle è giunto, perentorio, nelle ultime ore, a una manciata di giorni dalle elezioni europee. Il “guardiano dei conti” ha chiarito che per il decreto famiglia, oggetto nell’ultimo consiglio dei ministri di un primo esame (assieme al sicurezza bis targato Salvini), allo stato attuale non ci sono coperture adeguate. Per verificare se il reddito di cittadinanza richiederà meno risorse da utilizzare occorre aspettare l’assestamento di bilancio di fine giugno e, a seguire, il saldo a consuntivo, disponibile solo nell’ultima parte del 2019.

La conclusione del ragionamento di Tria – un messaggio indirettamente lanciato al leader politico pentastellato Luigi Di Maio, che invece preme per l’approvazione in tempi rapidi del provvedimento – è: se l’idea è quella di finanziare il decreto sulla famiglia con i risparmi che scaturiranno dal reddito di cittadinanza, allo stato attuale le coperture non ci sono.

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Di qui la secca replica di Di Maio. «I soldi ci sono – ha detto -. E chi decide dove destinarli è la politica, non i tecnici».Il braccio di ferro sul terreno delle coperture tra il responsabile dell’Economia e il leader politico dei Cinque Stelle non è una novità.

Uno degli episodi in cui le distanze tra i due componenti dell’esecutivo giallo verde si sono delineate con più evidenza risale al 27 settembre. Dopo un’estenuante trattativa tra Tria da una parte e Di Maio e Salvini dall’altra, con il ministro dell’Economia che arriva a prendere in considerazione l’ipotesi di dimettersi dal governo, in tarda serata il ministro dello Sviluppo economico e gli altri ministri pentastellati si affacciano al balcone di Palazzo Chigi. «Ce l’abbiamo fatta», urla Di Maio ai parlamentari M5S, radunati davanti alla sede del Governo, tra cori e bandiere. La nota di aggiornamento al Def è approvata all’unanimità dal governo. Il rapporto tra deficit e Pil sarà al 2,4% per tre anni (2019, 2020, 2021). Dentro alla manovra 2019 reddito di cittadinanza e quota 100, cavalli di battaglia, rispettivamente, di M5S e Lega. «È finita che si fa la manovra del popolo – esulta Di Maio – che si fa il reddito di cittadinanza, la riforma della Fornero. Per anni ci hanno detto che non c’erano i soldi ma i soldi ci sono. La vittoria è che si fanno misure storiche. Non vince il governo, vincono i cittadini. È una manovra che ci permetterà di rilanciare gli investimenti e la crescita». Secondo indiscrezioni trapelate nelle ore successive al vertice di governo, il ministro dell’Economia avrebbe tentato, fino all’ultimo, di tenere il punto su una linea di maggiore prudenza, quella del deficit all’1,9% del Pil, necessaria per assicurare la stabilità finanziaria.

La partita sull’importo dell’assegno del reddito di cittadinanza
Fin dall’insediamento del nuovo governo, nel giugno dell’anno scorso, Tria si trova a fronteggiare “l’assedio” di Cinque Stelle e Lega, che premono sul ministro affinché trovi le risorse per realizzare le rispettive promesse elettorali, e in particolare reddito di cittadinanza e quota 100. Di Maio chiede che «il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani che momentaneamente sono in grande difficoltà». Nei giorni di discussione sulla legge di Bilancio 2019, e subito dopo la stesura del “decretone” reddito di cittadinanza-quota 100 – nei primi due mesi di quest’anno – la misura bandiera dei Cinque stelle è stata via via contenuta, soprattutto a seguito del pressing di Tria (ma anche dell’altra forza di maggioranza, la Lega): dai 780 euro mensili destinati a tutti si è passati a un assegno più “leggero”, modulato sulla base di un mix tra componente anagrafica e reddituale. Una fetta significativa delle prime somme erogate è stata tra i 200 e i 300 euro (l’importo medio erogato nei primi due mesi di consegna delle card è stato di 520 euro al mese).

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