Cambiare, ma non troppo, i decreti sicurezza. Limarli con cautela, limitandosi alle osservazioni del Presidente della Repubblica, ma senza abolire le multe alle ong, senza reintrodurre lo Sprar e la protezione umanitaria. Anche sul fronte immigrazione, nel governo giallorosso manca il cambio di passo tanto atteso. E, soprattutto, ancora manca l’intesa, con il vertice di Palazzo Chigi sulla sicurezza che si è chiuso con un nulla di fatto.
Il simbolo della discontinuità del governo Conte 2 rispetto al Conte 1 avrebbe dovuto essere proprio la modifica radicale dei due decreti, bandiera dell’era Salvini. E invece, dopo sei mesi di attesa, il piano presentato dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha scontentato tanti nella maggioranza, scaldando solo l’elettorato salviniano sui social. Mentre il governo è apparso più frammentato che mai.
Troppo prudente, poco coraggioso, solo “un pannicello caldo”, i commenti che arrivano in ordine sparso da una parte del Pd, Italia Viva e Leu. Che vorrebbero una cancellazione, o almeno stravolgimento, dei testi salviniani, a partire dalle multe alle ong. I Dem di Nicola Zingaretti, da parte loro, non provano nemmeno ad alzare l’asticella. I Cinque Stelle di Luigi Di Maio, che con Salvini hanno firmato quelle norme nel governo gialloverde, si muovono con cautela e frenano sulle ipotesi di apertura sui permessi umanitari e sulla richiesta di cancellazione delle multe alle ong. Anche se gli esponenti grillini vicini al presidente della Camera, Roberto Fico, sarebbero propensi a modifiche più radicali in linea con Leu e Iv. A mediare, come al solito, il premier Giuseppe Conte, che sembra essere intenzionato a non fornire ancora benzina al leader della Lega, in piena propaganda anti-immigrazione tra caso Gregoretti e Open Arms, e che già si è detto pronto a raccogliere «milioni di firme per difendere i decreti sicurezza».
Il cantiere si è aperto. Ma sarà difficile arrivare all’abrogazione dei decreti, chiesta da alcuni pezzi di sinistra e dalle Sardine. Di ius culturae non si parla nemmeno. L’unico punto di convergenza sono le osservazioni di Sergio Mattarella, che trovano d’accordo persino Luigi Di Maio. Ma molti si sarebbero aspettati qualcosa di più da quello che avrebbe dovuto essere uno dei primi provvedimenti del governo Conte bis, e invece è stato puntualmente rinviato di settimana in settimana, tra le tensioni nella maggioranza e le decisive elezioni in Emilia Romagna, con una parte del governo da tempo chiedeva di cambiare passo sulle politiche migratorie.
Alla fine, nella bozza di Lamorgese, l’impianto rimarrebbe quello originale, ma con qualche modifica. Uno dei primi punti critici, indicato dalle osservazioni presentate dal Presidente della Repubblica, riguardava le norme contro le ong. Il decreto sicurezza bis prevede multe fino a 1 milione di euro, l’arresto del comandante e la confisca della nave nel caso in cui venga violato il divieto di ingresso nelle acque territoriali. Il piano del Viminale ora prevede non la cancellazione delle multe, ma una riduzione da 10mila a 50mila euro al massimo. L’arresto del comandante e la confisca della nave vengono confermate solo in caso di reiterazione della condotta, con una tipizzazione delle imbarcazioni che possono essere oggetto delle multe. Nessun cambio radicale, insomma.
Così come non è previsto il ritorno alla protezione umanitaria, cancellata dall’ex ministro dell’Interno leghista, che ha di fatto aumentato in questi anni il numero degli immigrati irregolari in Italia. Lamorgese punta ad ampliare la tipologia dei permessi di “protezione speciale”, oggi limitati a condizioni di salute gravi, calamità naturale nei Paesi d’origine, atti di particolare valore civile e per i casi delle vittime di violenza grave o sfruttamento lavorativo. La proposta è di estendere la protezione speciale ai casi di persone che all’arrivo mostrano disagio psichico, alle vittime di tratta, alle persone vulnerabili e ai nuclei familiari. Ma non si fa cenno alla reintroduzione del Sistema di protezione dei richiedenti asilo, Sprar, cancellato da Salvini e che era il fiore all’occhiello dell’accoglienza italiana.
Importante novità è l’ipotesi di riconoscere ai richiedenti asilo la possibilità di iscriversi all’anagrafe, godendo quindi di tutti i diritti legati alla residenza, incluse le prestazioni sanitarie, l’apertura di un conto in banca e l’iscrizione all’Inps. La norma, d’altronde, era inevitabile, visto che i tribunali di mezza Italia hanno già accolto i ricorsi di molti richiedenti asilo. E tanti sindaci avevano deciso di non applicarla, permettendo comunque l’iscrizione all’anagrafe comunale dei richiedenti asilo.
Sul fronte della cittadinanza, invece, accantonato allo ius culturae annunciato dal segretario del Pd Nicola Zingaretti ormai quasi 100 giorni fa, Lamorgese propone solo di dimezzare il termine massimo per la conclusione delle pratiche. Salvini aveva innalzato il tetto da due a quattro anni. La bozza presentata al vertice di maggioranza prevede ora di tornare ai due anni come termine ultimo per concludere l’iter burocratico.
Il punto, ora, sarà capire anche se ci sarà un aumento dei fondi per il sistema di accoglienza, che Salvini ha quasi dimezzato, eliminando diverse figure professionali dai centri di accoglienza. La ministra Lamorgese, a inizio febbraio, davanti alle richieste dei prefetti, ha cercato di mettere una toppa con una circolare in cui ha aumentato del 10% i rimborsi alle strutture per ogni migrante ospitato, che Salvini aveva ridotto a circa 19 euro. Ma senza aprire però a un ritorno ai 35 euro previsti prima del 2018.
«C’è un depotenziamento della crudeltà, ma rimane lo stesso impianto culturale e politico. Sono modifiche insufficienti», commentano dall’ala del Pd che fa capo a Matteo Orfini, da cui arriva la richiesta di abolizione dei decreti. «Ci si assuma il coraggio di una nuova legge quadro sull’immigrazione, superando la Bossi Fini e ripristinando ingressi regolarizzati», dicono gli orfiniani. Il messaggio è rivolto soprattutto ai compagni di partito del Pd, dove per il momento ci si limita a chiedere che si faccia qualche passo avanti rispetto alle indicazioni del Capo dello Stato, ma d’intesa con le altre forze di maggioranza. «I decreti vanno superati», dice Maurizio Martina. «Diamo un giudizio positivo dell’incontro, abbiamo fatto passi avanti e abbiamo condiviso alcuni obiettivi, valutando le questioni negative dei decreti e decidendo di intervenire», il commento del viceministro dell’Interno, Matteo Mauri, Pd, al termine del vertice a Palazzo Chigi.
Netta invece la posizione di Italia Viva, che definisce i decreti sicurezza «tra i punti più bassi della produzione legislativa del Conte 1». Per questo, dicono i renziani, «vanno completamente modificati», così come il memorandum sulla Libia. Quello che nel frattempo è stato rinnovato per altri tre anni senza ritoccare una virgola, salvo poi spedire qualche riga di modifiche ai libici chiedendo maggiore rispetto dei diritti umani.
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