D’accordo che ormai si può dire impunemente qualsiasi cosa e che niente ha più senso, ma nella letterina di Alessandro Di Battista in difesa di Luigi Di Maio pubblicata oggi sul Fatto quotidiano, oltre alle solite corbellerie da ripetente della convivenza civile, c’è una cosa che va affrontata una volta per tutte: Di Battista ha scritto che «la stampa di regime racconta falsità». Ovvio, verrebbe da dire, visto che parla sempre e solo delle enormità dei Cinque Stelle, senza mai contestarle, tipo l’abolizione della povertà o Giuseppe Conte, ma il punto non sono le falsità, il punto è il regime.
Il regime oggi è il suo amico Luigi Di Maio, con tutto il parentado di Rousseau e Associati. Sono loro, i Cinque stelle, il primo partito, sebbene in calo di consenso per manifesta incapacità e comica inadeguatezza. Sono loro che hanno vinto le elezioni due anni fa e che da allora governano ininterrottamente prima con la destra e poi con la sinistra e con il medesimo presidente indicato da Davide Casaleggio, confermato da un algoritmo e sostenuto da una serie di caricaturali esperti di Pretoria e del Mississippi. Sono loro che gestiscono il Parlamento e Palazzo Chigi, le pensioni e la scuola, l’ex sviluppo economico e l’ex politica estera, sostenuti dal Fatto quotidiano, da molti altri quotidiani un tempo autorevoli e da quasi tutti i talk show televisivi dove hanno preso la residenza per poter circolare liberamente.
Per cui se entrambe le esperienze governative di questo biennio risultano stravaganti agli occhi degli italiani, dei mercati e del mondo intero, per non dire squalificanti e imbarazzanti, il comune denominatore di questo nuovo regime è il marchio dei Cinque Stelle, una delle più grandi truffe politiche mai ordite nell’occidente democratico, una trama da operetta capace di trasformare l’Italia in una rivista da avanspettacolo condotta da Rocco Casalino e Roma in una contrada sottosviluppata, oltre a far collassare Livorno, Ragusa, Bagheria e a mettere a rischio perfino Torino e qualsiasi altra comunità civile sia stata così fessa dall’affidarsi ai due prodotti di marketing della Casaleggio, a Di Maio e a Di Battista e alle loro baggianate da analfabeti della democrazia. Anzi, di regime.
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