A salire troppo in alto finisce per mancare l’aria, evidentemente. Altrimenti non si può spiegare come due leader che sembravano in possesso di un tocco magico da predestinati della politica abbiano cominciato a sbagliarle tutte, o quasi, appena ascesi a percentuali di consenso bulgare. È successo a Renzi, dopo le europee del 2014. Sta succedendo, pari pari, a Matteo Salvini, dopo quelle del 2019. Gli ingredienti sono gli stessi: il massimo storico alle elezioni, un coro di peana per lo straordinario successo, la prospettiva delle urne anticipate per capitalizzare subito il consenso, l’esitazione fatale. E poi, improvvisamente, la caduta: un affaire giudiziario che mette pressione, il fuoco amico da cui guardarsi, l’isolamento in Europa, e più in generale una polarizzazione di tutto il dibattito politico attorno alla propria figura che finisce per ricompattare tutti contro di te. E quel maledetto 40% che anziché una straordinaria maggioranza relativa, diventa minoranza assoluta.
Così è andata per Renzi, così rischia di andare per Salvini, che è sull’ottima strada per avverare la profezia di Giorgetti, che gli consigliò di mettere sulla scrivania una foto dell’altro Matteo, per non commettere gli stessi errori. Il primo l’ha fatto, il Capitano: non avere il coraggio di andare a votare subito per fare un governo di centrodestra e ribaltare il Parlamento a sua immagine e somiglianza, preferendo giocare di sponda coi Cinque Stelle, esattamente come Renzi credeva di poter giocare di sponda con Alfano e Berlusconi. La rottura del patto del Nazareno ebbe luogo qualche mese dopo, con l’elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica. Chissà che con l’autunno anche il contratto gialloverde non finisca improvvisamente archiviato.
Il secondo errore è arrivato a stretto giro. Come Renzi con il caso di Banca Etruria che coinvolse il padre di Maria Elena Boschi, anche Salvini si è impantanato in una vicenda limacciosa come quella del Russiagate, infilando un errore di comunicazione dopo l’altro, come quando ha dichiarato di non conoscere Savoini nonostante le foto che li ritraggono assieme, tradendo imbarazzo, agitando complotti. Intendiamoci: mettere la parola fine a queste vicende è tutto fuorché semplice. Ma così facendo, Salvini si è autocondannato anche in questo caso a un contrappasso renziano: lo spettro del Russiagate lo accompagnerà fino alla fine della legislatura e non sarà un bel camminare.
Soprattutto, aggiungiamo, perché a ricordare a Salvini di Savoini e dell’Hotel Metropol saranno soprattutto i suoi compagni di avventura del Movimento Cinque Stelle, così come per Renzi fu la minoranza interna al Partito Democratico. In entrambi i casi, è l’istinto di sopravvivenza che parla. Bersani e i suoi sapevano benissimo che sarebbero stati decimati in Parlamento se Renzi fosse arrivato fortissimo alle urne, e la stessa cosa la sanno i Cinque Stelle. Per questo, il bombardamento è quasi fisiologico. Per Renzi, a un certo punto, il fuoco amico divenne quasi un’ossessione, suggellata dal brindisi di D’Alema e Speranza dopo la sconfitta referendaria. Per Salvini, l’ossessione è quella di un ribaltone dei Cinque Stelle e al posto del Lider Maximo c’è Giuseppe Conte, sempre più leader dei pentastellati che vorrebbero affrancarsi dal Capitano. Il fatto che vada lui stesso, il presidente del consiglio, a riferire sul Russiagate al posto di Salvini è uno sgarbo non da poco, che scava un solco profondissimo tra i due.
Nel frattempo, al pari di Renzi, Salvini non è riuscito a tradurre in potere lo straordinario exploit elettorale del 26 maggio. Se c’è una forza politica fuori da tutti i giochi di Strasburgo e Bruxelles quella è proprio la Lega di Salvini, che non ha votato la Von der Leyen, che con ogni probabilità non avrà alcun commissario e che nel frattempo deve registrare le bordate dei (fu) alleati ungheresi e polacchi, che da bravi figli della Nato non vedono di buon occhio chi fa troppi affari con Putin e indispettisce l’amico americano. Così come Renzi, anche Salvini rischia di pagare salato l’isolamento europeo. Con l’aggravante, in questo caso, che non c’è nemmeno una famiglia europea in grado di difenderlo.
Certo, direte voi, però Salvini continua a crescere nei sondaggi e dal 34% delle europee arriva, per alcuni, a lambire quel 40% che fu la maledizione di Renzi. Anche in questo caso, c’è poco da essere allegri: finché sono sondaggi, e non voti, Salvini non può farsene nulla. Al contrario, è una situazione che polarizza talmente tanto il dibattito politico su di lui, da risultare un boomerang, poiché spinge fisiologicamente tutti gli altri a coalizzarsi, per fare da argine a lui e alla celeberrima deriva autoritaria, che fu la tomba della riforma renziana e che rischia di essere, al pari, il vero punto di caduta del salvinismo di governo. L’irrituale incontro coi sindacati al Viminale, in questo senso, è il più classico dei segnali di onnipotenza che agita i sonni degli altri poteri italiani, dalla burocrazia alla magistratura, sino alla Chiesa. Renzi sa bene cosa succede, quando tutti quei mondi decidono che il nemico sei tu. Salvini lo sa?
www.linkiesta.it