Sta succedendo qualcosa al ministero dello Sviluppo economico. Prima Luigi Di Maio e adesso Stefano Patuanelli hanno smantellato la struttura di un dicastero che, secondo i grillini, era colpevole di portare avanti posizioni industrialiste. In realtà è ancora peggio, perché i dirigenti del Mise assistono sgomenti alla totale assenza di un indirizzo politico e a una totale inadeguatezza di leadership dei due ministri che si sono succeduti. In nome del taglio agli sprechi, Di Maio e Patuanelli hanno ottenuto l’effetto contrario: i tagli alle direzioni generali non sono stati attuati per i dirigenti che al contrario hanno aumentato il loro costo economico, la macchina amministrativa nel frattempo è rimasta ferma al palo, mentre le aziende lamentano quotidianamente l’assenza di dialogo e alcune fonti interne denunciano un’ingerenza troppo marcata dei vertici politici.
Del resto, l’allora vicepremier e Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio lo aveva annunciato tramite un post su Facebook l’8 febbraio scorso: «Da oggi inizia un cambiamento radicale nella gestione amministrativa e nell’azione del ministero». Tutto in linea con lo spirito politico del Movimento, nato sotto la stella del sovversivismo democratico, cresciuto come studente modello del trasformismo istituzionale. Niente di anomalo, se non che le promesse del leader pentastellato, passate in consegna a Stefano Patuanelli, hanno trovato applicazione nel senso opposto.
Il nuovo regolamento di organizzazione del 19 giugno 2019, infatti, ha previsto che il Mise, che si occupa delle strategiche politiche per le imprese, delle comunicazioni e dell’energia, passi da 15 a 12 direzioni generali, che scenderanno a 11 nel 2020. La sforbiciata, però, ha riguardato solo le direzioni e non i posti teorici di dirigente di prima fascia che sono rimasti 19. Gli stessi di prima. L’organizzazione pubblica interna a un ministero è bene ricordare che si divide in dirigenti di prima e di seconda fascia, con i primi che possono arrivare a percepire uno stipendio annuo di circa 180.000 euro lordi. In questo caso, per capirci, diminuiscono le stanze ma le poltrone rimangono immutate. Con gli esuberi che, a differenza di quanto promesso, sono impiegati per incarichi di consulenza e di studio (generalmente assegnati a un dirigente di prima fascia prossimo alla pensione, per coadiuvare l’azione delle direzioni generali o per specifici compiti di alto livello). Tali posti di carattere simbolico sono passati da uno a cinque, nel pieno rispetto di una formula a risparmio.
La manovra 5 Stelle pertanto più che disincrostare e alleggerire l’amministrazione di Palazzo, ha cambiato forma, mischiato le carte e aumentato la confusione. Come del resto hanno confermato in questi giorni i sindacati del settore con una lettera indirizzata al ministro Patuanelli, nella quale oltre a palesare sorpresa per l’assegnazione dei nuovi incarichi per le Direzioni Generali, di cui non era stata data nessuna informativa né pubblicità in merito, viene denunciata una situazione di stallo e di fermo dell’attività amministrativa – dalla quale le aziende sono tenute ai margini – dovuto proprio al “restauro” voluto dai grillini. Restauro che, ironia della sorte, si incontra con l’ultima misura della manovra 2020 che istituisce un fondo da 100 milioni per armonizzare le indennità tra i ministeri, contestato dal sottosegretario Stefano Buffagni, il quale per intorpidare ancor più le acque preferirebbe che lo stanziamento «per i dirigenti dei ministeri, fosse messo a disposizione delle imprese e per creare nuovi posti di lavoro».
Ma non finisce qui. La mano dei 5 Stelle, secondo testimonianze interne al ministero, una volta in possesso del mazzo ha cominciato a ridistribuire gli stessi incarichi di fascia alta delle 12 Direzioni Generali a professionisti che con quello specifico settore di azione non avevano mai avuto a che fare, dando vita a organizzazioni sovradimensionate e disorganiche che non tengono conto della formazione e dell’esperienza professionale. A meno che, per tornare al trasformismo, non si parli dell’ufficio di gabinetto, il cui capo con Di Maio è tornato a essere l’avvocato Vito Cozzoli che Carlo Calenda aveva allontanato sulla base, volendo usare un eufemismo, delle troppe e potenti relazioni trasversali.
Salvatore Barca, invece, è stato promosso da Di Maio da impiegato a Segretario generale del Mise, facendo un triplo salto di carriera, da 25.000 euro a 200.000 euro l’anno. Il Ministro Patuanelli ovviamente l’ha confermato. Molto curiosa anche la ricerca di figure di consulenza con carica da dirigente di prima fascia (come quello di responsabile della protezione dei dati) che nel resto dei ministeri sono assegnate a un direttore in via accessoria e quindi gratuita. Figura, nel caso del Mise grillino, scelta sulla base di discutibili criteri quali “l’aver gestito il contenzioso del personale o per aver gestito i fascicoli personali dei dipendenti”; o l’anomalia del vicesegretario generale, la cui figura come dirigente di prima fascia non risulta negli altri dicasteri.
Si è arrivati così a un costo aggiuntivo di circa 1 milione di euro. E se sullo sfondo c’è un velo di mistero, a guidare il progetto di Di Maio e quindi di Patuanelli, c’è la possibilità di stabilire in futuro una quota di dirigenti di prima e seconda fascia dall’esterno, in vista anche delle scadenze di contratto, indotte dal ministero stesso, di quei dirigenti attualmente al centro del travaglio di cui sopra. Che prima o poi, alla fine dei giochi, dovranno lasciare il posto a nuove “incrostazioni”, stavolta grilline.
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