L’ondata sovranista che dal 2016 ha colpito l’Europa ha rinvigorito senza volerlo la sua nemesi: il partito liberaldemocratico. Considerato da sempre un partito elitario, di minoranza che poteva governare solo alleandosi con partiti più strutturati, a poco a poco ha rifinito la sua identità per opposizione e ha offerto meglio dei partiti socialdemocratici una piattaforma politica alternativa ai sovranisti. Senza volerlo i vari Donald Trump, Marine Le Pen e Viktor Orbàn con il loro operato hanno realizzato quello che neanche il migliore dei liberali era riuscito a fare: rendere i liberaldemocratici un fenomeno di massa. Non è un caso se alle ultime elezioni europee del 26 maggio i liberali hanno quasi raddoppiato i seggi: da 67 a 108, rompendo per la prima volta il duopolio socialisti e popolari che insieme non hanno più la maggioranza dei voti all’Europarlamento. Addirittura nel Regno Unito i LibDem abituati da decenni a percentuali a una cifra sono diventati il secondo partito più votato (19,5%), sei punti sopra al partito laburista di Jeremy Corbyn. Dopo la polarizzazione socialisti contro popolari che ha monopolizzato il Novecento potrebbe nascere un duopolio liberali contro sovranisti.
Chiariamo una cosa: ogni Paese fa storia a sé, l’Europa è troppo diversa al suo interno per generalizzare e la Storia ci ha mostrato com’è facile creare sacche di resistenza ai fenomeni politici del tempo. Ma a unire i puntini sparsi qua e là c’è una tendenza in crescita che bisogna sottolineare. Gli elettori allergici al sovranismo si stanno rifugiando sempre di più nei partiti che portano avanti i valori liberali rispetto a quelli socialisti. Da En Marche di Emmanuel Macron in Francia alla Koalicja Europejska in Polonia, fino ai LibDem nel Regno Unito i partiti liberali migliorano rispetto al passato e si pongono come la vera alternativa. È un po’ come se il campo di battaglia si fosse pulito: da una parte chi rifiuta la globalizzazione e vuole tornare a un passato felice, dall’altra chi è a favore della società aperta e dell’Unione europea. Non è una questione di etichette politiche ma di principi liberali contro quelli nazionali. Per esempio la coalizione europeista arrivata seconda alle ultime elezioni europee in Polonia con il 38,5% subito dopo i sovranisti di Pis è formata da partiti che appartengono al Ppe ai verdi e addirittura ai socialisti, ma si è presentata come l’alternativa liberale e pro europea.
Ci sono due grandi eccezioni che confermano questa tendenza: Spagna e Portogallo. La penisola iberica è l’oasi dei partiti socialisti, lì i sovranisti non superano la doppia cifra. In Portogallo quasi non esistono mentre in Spagna Vox ha ottenuto un buon risultato ma tutto a discapito del partito popolare a cui ha succhiato i voti più conservatori. Ed è proprio dove i socialisti riescono a dare le risposte al popolo che i sovranisti non sfondano. Anche se bisogna sottolineare la crescita del partito liberale Ciudadanos al 15%, nato in Catalogna come risposta al movimento indipendentista. Ed è proprio quando c’è una divisione forte, netta, plastica tra istanze nazionaliste e globaliste che aumentano i liberali. Nel Regno Unito i Libdem sono cresciuti nei sondaggi da quando hanno appoggiato l’idea di un secondo referendum per rimanere nell’Unione europea. E non è un caso che il 1 agosto la candidata liberaldemocratica e anti Brexit Jane Dodds abbia vinto le elezioni suppletive nella circoscrizione gallese del Brecon e Radnorshire, battendo il candidato conservatore Chris Davies. Macron in Francia rappresenta tuttora la risposta rassicurante al sovranismo lepenista e alla Francia dei gilet gialli perché i socialisti francesi hanno deciso di appiattirsi su posizioni populiste vicine alla France Insoumise, il partito di Jean-Luc Melenchon.
In realtà avere i liberali come nemico è un vantaggio per gli stessi sovranisti che hanno creato la loro fortuna politica sulla semplificazione “noi” contro “loro”. Quando una settimana fa il leader ungherese Viktor Orbàn ha esaltato la sua forma di governo ha parlato di «democrazia illiberale», non di democrazia antisocialista e ha contrapposto i valori della famiglia tradizionale cristiana contro quelli dei cosmopoliti amanti del libero mercato. In mezzo a questo scontro rimangono i socialisti che negli ultimi venti mesi hanno abiurato ai valori della globalizzazione difesi per vent’anni con la loro terza via. Considerati “traditori” per aver ignorato le istanze del popolo, i socialdemocratici sembrano i primi a giustificare il sovranismo o almeno le cause che l’hanno generato. Dicono di non aver capito il loro popolo e cercano di riconquistarlo usando lo stesso linguaggio dei sovranisti. Ma tra la copia e l’originale, gli elettori scelgono sempre la seconda.
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