«Non facciamoci strane idee. I leader populisti non sono destinati a collassare. Non nell’immediato. E anche se riuscissimo a rimpiazzarli, fino a quando non mettiamo in discussione l’intero impianto del sistema, non risolveremo il problema». Mentre il mondo stava guardando la Turchia combattere nelle strade un finto golpe, la giornalista Ece Temelkuran capiva che non per lei non sarebbe più stato possibile restare nel paese. Giornalista da sempre ostile al regime di Recep Tayyip Erdoğan, Temelkuran ha visto da lontano l’arrivo di questa deriva. «La Turchia era vista come il modello da seguire per contrastare il terrorismo islamico dopo l’11 settembre. Ma quando è arrivato Erdoğan quell’esperimento è fallito. È stato un processo lungo e graduale e solo dopo il 2016 abbiamo iniziato a lasciare il paese in centinaia».
Da laboratorio di democrazia a laboratorio di questa nuova forma di democrazia illiberale, un ossimoro per dire gentilmente una parola che ai populisti (di destra) ovviamente non piace: dittatura. «Per capire cosa vuol dire stare sotto Erdoğan devi prendere Donald Trump, moltiplicarlo per 100 e farlo governare per diciassette anni. Gli americani non capiranno mai cosa si prova. E gli stessi europei hanno cominciato a vedere la dimensione del problema solo quando hanno capito che questi leader stavano prendendo potere in tutto il continente e non solo da noi. O da voi in Italia, che siete forse gli unici al mondo che potete capire cosa si prova ad essere un esperimento unico al modo di stress democratico».
Il tema del collasso delle democrazie è forse uno degli argomenti centrali del dibattito contemporaneo, e Temelkuran lo racconta in Come sfasciare un paese in sette mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura (Bollati Boringhieri), un libro fondamentale per capire come siamo arrivati a questo punto, di come non si tratti di casi isolati e di come a rischio sia tutto il sistema in cui siamo cresciuti. Al punto che, scherzando ironicamente, ci è capitato più volte durante la conversazione di dirci che se in tutto il mondo prendono piede le democrazie illiberali, non ci rimarrà più nessun posto dove andare in esilio.
Ma cosa è successo? Da qualche tempo a questa parte la lettura che vede nella crisi economica del 2008 la scintilla fondamentale per l’esplosione di questa rabbia e di questo risentimento in tutto il mondo sembra non essere soddisfacente. «C’è un nuovo cinismo che ha ormai preso piede. Una tendenza prevaricatrice alimentata da una propaganda continua per cui questi leader, facendo riferimento tutti a una grandezza perduta dei propri singoli paesi, promettono di risolvere le situazioni ma senza mettere in discussione l’intero ordine neoliberale».
Il populismo, infatti, non attacca quelle che sono le vere radici del problema della crescente disuguaglianza. Su questo, Temelkuran è ancora più netta di quanto non sia nel corso di tutta l’intervista: «Non capisco come si faccia a criticare il populismo senza mettere in discussione il neoberalismo. Il populismo non è ancor che il figlio mostruoso dell’ordine neoliberale che si è rivoltato contro il suo stesso sistema e lo sta mangiando». L’unico problema è che così mangia anche noi tutti come persone, come individui e come comunità.
Nel libro Temelkuran individua alcuni punti chiave con cui i leader populisti hanno alimentato prima il clima d’odio nel paese, e poi hanno preso il potere. Dall’individuazione di un nemico (le élite corrotte, il potere finanziario, gli immigrati clandestini) alla creazione di movimenti “spontanei” capaci di aggregare le persone, alla costruzione di un sistema di comunicazione capace prima di influenzare i media e poi di creare una vera e propria realtà alternativa. «Cambiare i politici non servirebbe a nulla. Molti credono che sbarazzandosi di Putin, di Trump, di Salvini, di Orban, di Erdoğan tutto tornerà come prima, e invece no.
Nessuno considera il problema dei danni profondi e radicati provocati da anni e anni di neoliberalismo. Non è solo il sistema a essere in crisi, è l’umanità a essere in crisi». Per questo nel libro l’analisi si concentra anche su concetti come ‘vergogna’, ‘dignità’, ‘orgoglio’ e ‘verità’. «Gli intellettuali e i politici di sinistra dovrebbero riconoscere il problema di come le persone sentano rotta la propria dignità». Il populismo di destra, a conti fatti, offre una soluzione al problema. Non funziona, ma resta pur sempre una soluzione. «Questi leader clowneschi hanno convinto le persone che loro metteranno in ginocchio le élite corrotte che hanno rotto la loro dignità.
Ogni tanto mi chiedo se sia questo il punto d’arrivo della Storia». Anni e anni di progressi tecnologici e scientifici, secoli di arte e letteratura, grandi passi avanti nella storia dell’umanità ed è questa la Fine della Storia? «Ormai sappiamo che l’umanità non ha nessun obbligo di andare avanti in modo progressivo. Ma non immaginavo nemmeno io sarebbe stato così assurdo. La situazione è davvero critica».
Come se ne esce? In questo periodo storico fatto di propaganda totale e ricerca permanente di consenso non sembra esserci spazio per il pensiero critico e per il ragionamento su una prospettiva da offrire come alternativa all’attuale worst case scenario diventato realtà. Soprattutto da sinistra. «Il populismo è un problema politico che ha bisogno di una risposta e di una soluzione politica. Non abbiamo bisogno di terapia di coppia e risposte emotive. Vedi, gli attuali leader puntano molto sull’aspetto emotivo, sulla connessione sentimentale e suscitare una compassione di cui non hanno bisogno.
È la questione del ‘ragazzo fragile’, Erdogan ad esempio racconta sempre di quanto sia stato picchiato dal padre in gioventù, e sicuramente anche Matteo Salvini avrà tirato fuori qualcosa del genere [abbiamo questa conversazione pochi giorni prima dell’uscita della prima pagina del libro-intervista a Salvini in cui si parla del furto del pupazzetto di Zorro, ndr]. Mi sono stufata di questa narrazione perché sai cosa? Tutti noi abbiamo avuti traumi. Io ho avuto traumi, tu hai avuto traumi… e non siamo dei dittatori!».
Usciremo da questa situazione. Non si vede ancora la luce in fondo al tunnel, ma non durerà in eterno. «Scrivi pure le mie parole. Fra quattro o cinque anni qualcosa succederà. Ci sarà un nuovo sistema e un nuovo bilanciamento. E questo nuovo sistema non nascerà da uno scontro tra ‘destra’ e ‘sinistra’, ma tra la deriva autoritaria della democrazia illiberale e i giovani ragazzi ambientalisti del Fridays For Future». Perché proprio loro, a parte l’ovvia capacità di mettere al centro dell’agenda politica quello che è il tema cruciale di questi anni?
«Perché non basta più andare a chiedere ai governanti di fare nuove leggi per contrastare il cambiamento climatico. Questi ragazzi saranno chiamati a inventarsi nuovi strumenti di lotta politica, nuovi strumenti aggregativi e saranno costretti a rompere l’ordine neoliberale». Sembra molto sicura di quello che dice, ma lancia un avvertimento: «Per arrivare a questo nuovo ordine dovrà andare ancora molto peggio. Il cambiamento non sarà pacifico, non sarà bello. Ci saranno lacrime e sangue. Andrà molto peggio prima di andare molto meglio».
E la sinistra? «L’errore della sinistra è stato quello di non considerare la tendenza alla grandezza dell’uomo medio. Anche questa è una deriva del neoliberismo. Una grandezza che però non si cerca come individuo, ma come totalità» Viene in mente Massa e Potere di Canetti. Ma è forse questo il ‘popolo’ da cui deriva il successo degli attuali partiti populisti lungo tutto il mondo? Un popolo cui la sinistra ha smesso di parlare, di ascoltare e a cui non sa dare risposte? Per ora, forse, l’unico in grado di dare una alternativa e imporla al centro del dibattito è stato Bernie Sanders.
«Lui ha umanizzato l’idea di socialismo. L’ha resa una alternativa concreta, non una minaccia astratta. Se arriverà qualcosa di buono politicamente parlando, arriverà dagli Stati Uniti. Perché al netto della loro ignoranza politica, hanno la forza e l’energia per imporre l’agenda». Ma se winter is coming, da dove arriverà questa energia? «Non aspettiamoci certo che l’energia arrivi da organizzazioni e partiti tradizionali.
C’è un mondo che si sta muovendo attorno a problemi autentici, che non ha rappresentanza ma che potrebbe portare avanti un’idea di società alternativa proprio come stanno facendo i ragazzi del Fridays for Future. Penso ai riders, agli autisti di Uber, ai commuters costretti a ritmi di vita massacranti». È difficile, non sarà a costo zero, ma è possibile, quindi. «L’energia c’è. Si tratta di incanalarla nel modo giusto. Si tratta di rendere un orizzonte politico attraente e persuasivo. Per organizzare le persone hai bisogno della promessa. Hai bisogno della parola chiave. Devi accendere un sentimento».