Zero in Europa, zero nel Mediterraneo, zero ai cancelli delle fabbriche. Se c’è un risultato, dopo le elezioni europee del 26 maggio, è che il governo del cambiamento, squassato dall’exploit della Lega e dal crollo dei Cinque Stelle, è diventato una specie di esecutivo balneare, in balia degli eventi, incapace di prendere qualsiasi decisione, anche solo di mostrare la faccia dura che aveva usato nei primi mesi della sua esperienza nei confronti dei migranti, delle istituzioni europee, delle multinazionali.
Ve li ricordate, no, i festeggiamenti dal balcone per aver proposto alla Commissione Europea una manovra con 2,4 punti di deficit sul Pil? O il decreto dignità, che prevedeva risarcimenti draconiani per le multinazionali che delocalizzavano dopo essersi prese fondi pubblici? O i porti chiusi e le navi delle Ong sequestrate? E ancora, l’annuncio della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia quando ancora fumavano le macerie del ponte Morandi di Genova?
Ecco, zero assoluto. La sfida a muso duro del 2,4% è diventata la farsa del 2,04% col corollario di 22 miliardi di clausole di salvaguardia, e ha prodotto recessione e disoccupazione, anziché crescita, col rischio di una procedura d’infrazione che pende sulle nostre teste e una manovra da 30-40 miliardi all’orizzonte. Intanto le multinazionali irridono il governo facendo il bello e il cattivo tempo: Ilva che mette in cassa integrazione 1400 persone e Whirlpool che vuole vendere lo stabilimento di Napoli, in spregio ad accordi sottoscritti solo pochi mesi fa (e che Di Maio, a suo tempo, aveva avuto persino la baldanza di rinegoziare). Nel frattempo – meno male! – i porti sono più aperti che mai allo sbarco di vite umane in fuga dall’inferno libico e dai suoi campi di concentramento, e le navi delle Ong, archiviata ogni accusa, sono dissequestrate una a una (buon ultima Sea Watch) mentre Salvini preferisce disertare il sesto incontro su sette sull’immigrazione dei ministri dell’interno europei per andare a parlare in tv con Barbara D’Urso. Ah, dimenticavamo: il governo sta pure pregando Atlantia (cioé Autostrade) di partecipare al salvataggio di Alitalia, perché senza Delta Airlines non si siede nemmeno al tavolo.
Eccola, la nemesi del cambiamento, la fine dei sogni di rock n’roll dei due nuovi dominatori della politica italiana, che dopo un anno sono già costretti a tirare a campare, in attesa di tirare le cuoia. RImane il consenso, certo, ma non serve a nulla se non si sa cosa fare, o se non si ha la forza per farlo. Ed è questa, a ben vedere, la maledizione del governo di Lega e Cinque Stelle: la totale inadeguatezza a gestire le sfide di cui loro stessi si sono fatti portavoce.
Peggio ancora: presto o tardi quel consenso, quella poderosa domanda di protezione dalla paura e dal risentimento sociale, se insoddisfatta, troverà altri alvei da riempire, altre bocche da sfamare. La crescita di Fratelli d’Italia, molto simile a quella della Lega nei primi anni di governo Renzi, è un piccolo segnale da osservare con attenzione. Il presidio delle periferie di gruppi neofascisti che vanno male alle urne solamente perché, per ora, è Salvini a drenare il loro consenso elettorale, pure. Il rischio vero della debacle gialloverde è che lasci sul tappeto ancora più paura e ancora più risentimento, ancora più odio per Europa e migranti, ancora più sfiducia verso la globalizzazione e il libero mercato.
Niente popcorn, quindi, soprattutto dall’opposizione, né malcelata soddisfazione per il pugno duro della commissione, per l’anarchia nella gestione dei flussi migratori, per le multinazionali che ci prendono in giro. Il fallimento di Salvini e Di Maio rischiamo di pagarlo tutti, senza alternative credibili, e senza che alternative credibili e radicali trovino spazio e consenso nella società italiana. Il peggio deve ancora venire, purtroppo.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/08/salvini-dimaio-sbarchi-europa-ilva-whirlpool-disastro-governo/42463/