Uno degli elementi che meno aiuta a comprendere i fenomeni politici è il parteciparvi attivamente. Il privilegio dell’osservatore fornisce indubbiamente un vantaggio nella comprensione politica. Faccio quindi tesoro del mio strutturale astensionismo per sottoporre all’attenzione dei lettori una considerazione sulla ventennale traiettoria dei fenomeni di costruzione del consenso politico nel nostro contesto continentale.
A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, il processo di indebolimento delle forme partitiche tradizionali è divenuto sempre più evidente. Soprattutto nei Paesi a economia debole (Grecia, Spagna e Italia), l’emergenza economica è stato uno dei fattori di accelerazione della trasformazione partitica verso dimensioni – sempre organizzate – di natura movimentista che, soprattutto nella loro prima fase, hanno fatto della avversione allo schema partitico una delle proprie caratteristiche fondanti. Nel nostro Paese questo elemento lega realtà politiche molto diverse tra loro, da Forza Italia al Movimento 5 Stelle, dalla Lega alla defunta Italia dei Valori di Di Pietro. In Grecia e in Spagna sono avvenuti fatti analoghi che hanno totalmente ridefinito le geografie politiche di quei Paesi.
Il momento d’oro del consenso movimentista organizzato, tuttavia, ha avuto il proprio culmine verso la metà degli anni ’10, ma attualmente sembra entrato anch’esso in crisi. Il fattore che sembra aver sostituito la fase movimentista di estrazione partitica è lo spostamento dell’elaborazione politica al di fuori del tradizionale ambito presidiato da istituzioni, dibattito politico e media. Le nuove strategie politiche oggi nascono in ambienti meno tradizionali (dalle società di marketing ai centri studi) e soprattutto si fondano su processi di consenso che trascendono sia lo schema politico destra-sinistra, sia l’ossessione per la visibilità mediatica.
Lo schema del nuovo consenso politico si ancora a una dimensione valoriale e la declina ideologicamente in chiave universalista. In questo modo, la soggettività politica torna ad avere apparenze “rivoluzionarie”, assumendo toni profetici (e generalmente catastrofici) e invocando una palingenesi sociale, politica, economica e – naturalmente – morale. Il fenomeno più evidente che descrive questa mutazione è quello legato alla figura iconica della sedicenne svedese Greta Thunberg, straordinaria interprete comunicativa di una sofisticata strategia politica basata sulla lettura ideologico-valoriale di un complicato dibattito scientifico. Se “salvare il pianeta” rappresenta la più potente ideologia della contemporaneità, tuttavia, anche la dimensione del “rinnovamento morale” contiene un potente elemento di attrazione del consenso. Il recente caso italiano delle “sardine” si inserisce pienamente in questo filone.
Le piazze affollate rappresentano un fenomeno, apparentemente innescato da un giovane ricercatore bolognese, che si inserisce nell’evidente fase di ridefinizione, originata dal crollo del M5S, del quadro politico italiano. L’argine verso il non voto viene così attivato, non da una formazione politica esplicita, ma da un attrattore di consenso che può giocare a 360 gradi e svolgere una funzione centrale nell’orientare il dato elettorale. Non è un caso che i politici navigati se ne tengano a benevola distanza, per non disturbarlo, nella speranza di esserne beneficiati. Oggi chi si azzardasse nella profezia che le sardine finiranno in una scatola sugli scaffali del supermercato, probabilmente risulterebbe più stolto che sagace.
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