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Flat tax, Svimez: Sud svantaggiato. Cgil: beneficia i ricchi

La previsione di una “tassa piatta” sui redditi da lavoro «non appare in grado di corrispondere al necessario rilancio della domanda interna» e, «al di là dell’impatto sui conti pubblici», avrebbe «una ricaduta territoriale fortemente asimmetrica, a svantaggio del Mezzogiorno, l’area con redditi più bassi». Lo dice Luca Bianchi, direttore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) nel primo giorno di audizioni sul Def 2019 al Senato. Alle commissioni Bilancio dei due rami Bianchi sottolinea che anche eventuali aumenti dell’Iva o riduzioni della spesa pubblica «avrebbero un impatto significativamente maggiore sul Mezzogiorno» risultando «insostenibili».

Il giudizio negativo dello Svimez riguarda anche il Reddito di cittadinanza, misura bandiera del M5S. Il suo impatto sul Pil, spiega l’associazione, «risulta più alto nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, per effetto di una maggiore concentrazione dei beneficiari: 0,14% al Sud contro lo 0,07% nel Nord nel 2019 e 0,35% contro 0,14% nel 2020 e 2021». A livello nazionale, l’impatto del RdC appare però «di portata piuttosto modesta», pari a «0,1 punti percentuali nel 2019». Il quadro «assai prudenziale, ma realistico che emerge dal Def – questa l’analisi di Bianchi – purtroppo conferma i rischi che già in autunno avevamo lanciato: la “grande frenata” del Mezzogiorno, nel quadro di rallentamento e profonda incertezza della dinamica dell’economia nazionale. Con un’Italia che si ferma dopo quattro anni di (sempre più debole) ripresa al Sud torna il segno meno». E le stime tendenziali di +0,2 al Centro Nord e -0,2% nel Mezzogiorno, confermano, secondo lo Svimez, che «manca una strategia».

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La flat tax cara al leader della Lega Matteo Salvini e prevista dal contratto di Governo al pari del RdC, non piace neanche alla Cgil, che in audizione mette in guardia da un sistema fiscale «a una-due aliquote, finanziato con la riduzione delle spese fiscali» che «non può generare vantaggi ai lavoratori e ai pensionati più di quello che porterà ai redditi più alti». Da bocciare quindi – spiega la vice segretaria generale Gianna Fracassi alle commisisoni Bilancio congiunte – l’idea di redistribuzione fiscale «legata a doppio filo a una misura ingiusta e regressiva, tanto più su base familiare». Una flat tax con aliquota al 15% «comporterebbe effetti irrazionalmente distribuiti», con «svantaggio notevole anche per i secondi percettori di reddito, in gran parte donne».

Quella della riforma fiscale, conclude Fracassi, «è un tema di grande importanza che non può essere affrontato con miopia e velleità elettoralistiche, merita un tavolo partecipato da tutte le organizzazioni sindacali». Inoltre «non si capisce dove si prenderanno le risorse per le misure annunciate e le riforme elencate dal Piano Nazionale di Riforma (Pnr)», considerando che il «solo disinnesco delle clausole Iva costa 1,3 punti di Pil, ovvero 23 miliardi nel 2020 e 28,7 miliardi a decorrere dal 2021». Per la Cgil si prefigurano quindi «altri tagli alla spesa pubblica, a cominciare dalle spese in conto capitale, già tagliate nell’ultima legge di Bilancio, dalle risorse dei ministeri e da quelle spettanti ai lavoratori della Pa per i rinnovi contrattuali e per il turn-over occupazionale».

A preoccupare Confindustria, più che l’arrivo della “tassa piatta”, sono le incertezze sulle coperture e le risorse destinate alla riforma della tassazione. «Si parla di “flat tax” senza spiegare come verranno reperite le risorse. Questo atteggiamento rischia di aumentare l’incertezza e rallentare l’economia», segnala infatti alle commissioni Bilancio l’associazione degli industriali. In generale – osserva poi Confindustria in audizione – «una “flat tax” o “quasi flat tax” (con due aliquote) potrebbe andare nella direzione di risolvere molte delle problematiche insite all’Irpef». E «dovrebbe comunque accompagnarsi a un sistema di deduzioni/detrazioni che assicuri il principio di solidarietà e va disegnata in modo tale da semplificare effettivamente il sistema, evitando la sovrapposizione di diversi regimi impositivi che creerebbero ulteriore complessità».

Promossi anche i decreti Crescita e Sblocca cantieri. Secondo gli industriali i due provvedimenti – varati dal Cdm tra il 20 marzo e l’inizio di aprile ma non ancora pubblicati in “Gazzetta” – «fanno registrare una positiva inversione di tendenza nelle politiche del Governo, nella direzione di una ritrovata attenzione alla crescita». Peraltro, viene poi spiegato ai parlamentari, «con alcune misure come superammortamento, revisione della mini-Ires e potenziamento del Fondo di garanzia per le Pmi» sembra che il Governo « punti a rimediare a lacune e debolezze dell’ultima Legge di bilancio. E in questo contesto, molto dipenderà anche dal Decreto Sblocca cantieri e dalla capacità delle misure adottate di permettere di spendere quanto già stanziato per investimenti pubblici».

Tornando al fronte sindacale, forti critiche verso il Def arrivano anche dalla Cisl, anche lei con il dito puntato sulla flat tax, che «rischia di generare ulteriori distorsioni e lasciare modesti recuperi a tutti coloro che maggiormente hanno sopportato i costi della crisi». Urgente, quindi, «una revisione complessiva del nostro sistema fiscale», da semplificare e razionalizzazione «anche per quel che riguarda le cosiddette “tax expenditures”, ma senza lasciare «ingiustificati e inaccettabili vantaggi fiscali per i redditi più alti» come invece farebbe la “tassa piatta”.

Più in generale, l’analisi del Def 2019 realizzata dalla Cisl registra un «deficit di strategia» da parte del Governo e propone tre mosse per far ripartire il Paese. Il sindacato sollecita, in particolare, politiche anticicliche immediate basate su investimenti pubblici ad alto moltiplicatore in infrastrutture. Altra priorità suggerita dalla Cisl è il varo di una manovra redistributiva a favore delle aree sociali medie e basse «attraverso la leva di una riforma fiscale capace di potenziare la domanda interna». Infine, occorrono «politiche di medio e lungo periodo fondate sul lavoro», con una «visione nitida del posizionamento competitivo dell’economia italiana nel contesto globale»

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