È più d’una crisi quella che squassa in queste ore Forza Italia: è la fine d’una storia e l’apocalisse d’un mondo. È l’avvento del caos che Berlusconi era riuscito fin qui a rimandare e a trattenere, ora col bastone del monarca ora con la carota del mediatore e mettendoci di nuovo l’anima e il corpo. Come nella corsa elettorale per l’Europa, affrontata dopo un delicato intervento in ospedale nel tentativo disperato e inutile di rianimare un partito esanime, di tenerlo sopra la soglia di sopravvivenza del 10%.
“È ancora lui, è sempre lui, è immortale” dicevano i suoi mentre il Cavaliere si spendeva in campagna elettorale e però intanto occupati a immaginare la successione, a spiare le mosse del colonnello accanto, a capire, con un occhio ai sondaggi – che davano Forza Italia sotto quel fatidico 10% – dov’era l’arca per mettersi in salvo. È stato Giovanni Toti ad accendere l’innesco del grande boom, a suonare la tromba dell’apocalisse: annunciando che la corsa di Berlusconi è giunta alla fine, che occorrono primarie vere, l’elezione d’un nuovo leader e intanto procedendo nella costituzione del nuovo soggetto politico a cui il governatore ligure sta lavorando da mesi. Un movimento con un nome diverso da Forza Italia che vada a costituire la terza gamba del polo sovranista insieme a Salvini e Meloni. È più d’una rottura, è la destituzione di fatto e a distanza di Berlusconi, la proclamazione unilaterale della fine della sua ventennale monarchia.
La reazione del Cavaliere è stizzita, durissima: ferma tutto il timido processo della glasnost annunciata – la modifica dello statuto, lo schema dei coordinatori che avrebbe dovuto reggere il partito – si concentra sulla guerra a Toti: “Parla di democrazia interna ma è un nominatissimo, da me”. La riaffermazione di ruolo: “Forza Italia sono io” dice ai suoi: “la gente vota me, il marchio è mio” e sono suoi anche i 92 milioni di euro che gli deve il partito. Perché poi c’è anche questo aspetto, come spiega il tesoriere azzurro Alfredo Messina: “Più del 50% dei parlamentari eletti non ha versato i 30 mila euro dovuti al momento della candidatura, più del 60% non paga i 900 euro mensili che dovrebbero andare nelle casse azzurre”.
Ma soprattutto Berlusconi afferma un principio e una via: se c’è qualcuno che può allearsi con Salvini, che ha i titoli per farlo è lui, non un governatore ligure. “Ho parlato con Matteo – dice a botta calda dopo le esternazioni di Toti – mi ha detto che è disponibile a ragionare su un futuro di centrodestra insieme. Una federazione o una fusione con la Lega”. È un modo per anticipare le mosse del ribelle, di tagliargli la strada. Ma a stretto giro Salvini smentisce: “Non c’è nessuna fusione all’orizzonte, il partito unico del centrodestra non è all’ordine del giorno”.
Nel partito si diffondono confusione e panico: non c’è più una rotta, un senso, una catena di comando. Si susseguono dichiarazioni surreali, esegesi del pensiero berlusconiano – “Il presidente non ha parlato di fusione con la Lega, è stato frainteso”; “Presto si farà il congresso costituente”; “La rottura di Toti rientrerà, Giovanni si rimetterà a disposizione di Forza Italia” – mentre figure minori del partito, dalle periferie dello stivale urlano via agenzie stampa la propria fedeltà a Berlusconi e reclamano attenzione, pensando come il federale di Ugo Tognazzi, Primo Arcovazzi, sia finalmente giunto il loro momento.
Siamo al “si salvi chi può”. E ognuno in questa concitata fine mondo gioca le sue carte e la sua partita. Mara Carfagna per dire – che per mesi ha atteso da Arcore il cenno d’una investitura mai arrivata, osteggiata dai Tajani, dalle Ronzulli e dai fedelissimi – continua a tessere la sua tela al centro.
Alla vigilia delle europee l’esponente azzurra aveva partecipato a incontri informali ma operativi sia con Carlo Calenda, sia con Matteo Renzi, per misurare gli spazi di manovra al centro, tanto da far parlare alcune fonti di palazzo di un disegno neocentrista battezzato “Margherita 2.0” da mettere in campo per indebolire il polo sovranista e condizionare i futuri equilibri politici.
Una sorta di rediviva strategia dei due forni mirata a favorire un centrodestra moderato o un nuovo Ulivo, che costringerebbe Zingaretti a cercare ancoraggi al centro. Una strategia a cui guarda con interesse e favore la fidanzata di Silvio Berlusconi, Francesca Pascale, che non ha mai fatto mistero della sua avversione per Salvini ma che ha in grande fastidio anche il cerchio magico di Arcore-Villa San Martino. Cerchio officiato da Licia Ronzulli e di cui fa parte lo storico inner circle del Cavaliere: l’avvocato Niccolò Ghedini, Sestino Giacomoni, Fedele Confalonieri, Antonio Tajani. Sempre meno Gianni Letta, ormai defilato, al quale non piacciono né Salvini né i tempi nuovi della politica italiana. È l’area aziendalista di Forza Italia, che tutela lo status quo e che in nome della realpolitik bada oggi, con gradazioni diverse, a non guastare i rapporti con Salvini ma spingendolo alla rottura con Di Maio, per riesumare il vecchio centrodestra.
La fine di un mondo si diceva. Anche se Berlusconi è uno che non s’arrende mai. E accarezza l’ultima carta che ha in mano nella residua ma non impossibile speranza di poterla calare sul tavolo se il giro di poker dovesse riaprirsi. Cosa che potrebbe accadere in caso di crisi di governo o elezioni anticipate. Perché anche solo al 7% Forza Italia sarebbe determinante per la vittoria di uno schieramento di centrodestra. Senza Berlusconi infatti Salvini e Meloni rischierebbero di non farcela e l’apporto di Toti, che avrebbe solo una manciata di mesi per organizzare e lanciare il suo movimento politico, sarebbe insufficiente. Una nuova mobilitazione elettorale ridarebbe invece lo scettro in mano a Berlusconi sia perché è lui a raccogliere il consenso sia perché sarebbe lui a comporre le liste elettorali e dunque a sancire la sopravvivenza o la scomparsa dei colonnelli del partito. Sarebbe l’ultima carica del Cavaliere ma gli consentirebbe di mantenere un ruolo, non ininfluente, nella politica italiana. E assoluto in Forza Italia.
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