Senza particolari passaggi solenni, Forza Italia tutta si è assestata sulle posizioni di quella Mara Carfagna che da tempo reclamava una presa di distanza dell’estremismo sovranista di Salvini. Lei, parlando ieri con suoi sostenitori, fra cui Renato Brunetta, ha infatti spiegato che Berlusconi ha ricollocato Forza Italia al suo posto, distinguendola dai sovranisti, una mossa premiata anche dai sondaggi.
Consumata ormai una rottura probabilmente irreversibile con l’uomo del Papeete, il partito di Berlusconi per il momento si colloca nello spicchio centrale, ancorché minoritario, della politica, un posizionamento interessante non solo perché segnala la rottura del centrodestra, forse creando qualche suggestione persino in Fratelli d’Italia (anch’essi stanchi della deriva sudamericana della Lega), ma perché potenzialmente ridisegna il campo governativo.
Si parla infatti della possibilità di un ingresso dei forzisti nella maggioranza, quella attuale o eventualmente una nuova senza Italia viva. Ma al di là degli scenari politicisti, è incontrovertibile che i berlusconiani siano rientrati nell’orbita di governo. La loro disponibilità ci sarebbe, specie con un altro premier.
Mai innamorato di Giuseppe Conte, di cui non dimentica l’appartenenza o comunque la filiazione dal grillismo (per lui quanto di peggio ci possa essere), Berlusconi darebbe volentieri il suo contributo a un governo diverso, de-grillinizzato almeno nei suoi aspetti più estremisti, proprio per questo in grado di emarginare “le estreme”, cioè le istanze di Salvini e Di Battista.
Conte, aspramente criticato ieri alla Camera da Roberto Occhiuto («Non sapete fare le cose») nei giorni scorsi è stato trattato da Mara Carfagna con gli stessi argomenti di Renzi quando parla dei “pieni poteri”: «La Costituzione è la nostra bussola. La condivisione delle scelte e l’impegno corale di tutte le istituzioni rappresentano il metodo da utilizzare sempre, soprattutto nelle emergenze. Grazie alla Presidente Cartabia per aver ricordato a tutti noi la strada da seguire», ha twittato nel giorno della presa di posizione della presidente della Consulta.
Un modo elegante per dare addosso ai pieni poteri che il presidente del Consiglio si è preso con l’uso quantomeno eccessivo dei famosi Decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Ma l’attacco a Conte non si limita a questo: «Conte – dice Andrea Cangini – doveva programmare (parola a lui sconosciuta) e di conseguenza comunicare una politica industriale che tutelasse sin dall’inizio della crisi sanitaria, consentendone l’apertura, il lavoro delle aziende italiane più esposte alla concorrenza internazionale. Ma non è accaduto. E allora tutto diventa pesante».
Si tratta, beninteso, di un’opposizione distante anni luce da quella di Salvini, considerato ormai perso alla causa. La rottura della tela unitaria e nazionale indicata da Mattarella che il capo leghista ha causato è stata per Berlusconi l’ultima goccia che fatto traboccare un vaso che per Gianni Letta era colmo da mesi, fin dalle elezioni emiliane di gennaio quando disse a Zingaretti di augurarsi la vittoria di Stefano Bonaccini: erano “i giorni del citofono”, per intendersi. Fino al dissenso sul Mes e alle trovate propagandistiche salviniane.
Nello tsunami che si è abbattuto sul nostro Paese, forse foriero di imprevedibili sconquassi politici, il nuovo orientamento più “carfagnano” di Forza Italia è forse l’ultima occasione per il Cavaliere di dare un senso e una prospettiva alla creatura creata da lui nel lontano 1994. E tornare in gioco nella legislatura più difficile.