È quindi un’arma di contrasto all’ascesa dei populismi…
Diciamo che è una risposta da costruire, con pazienza e immaginazione creativa. Negli anni ’90 e primi 2000 si pensava che la storia fosse finita e che ci fosse spazio solo per le democrazie liberali occidentali e che tutti gli altri paesi del mondo dovessero soltanto adeguarsi; finché la crisi della globalizzazione, interpretata come strumento di potere di elite arroganti, ha fatto nascere risposte che si prospettano, in un mondo che è sempre più interdipendente, paradossalmente in modi molto più nazionalistici. Penso per questo che nuove concezioni del soft power – non più, ribadisco, strumento esclusivo degli Stati – e di Diplomazie Culturali di nuova generazione – da parte degli Stati – siano indispensabili, per aprire piazze e strumenti di dialogo, confronto e costruzione di soluzioni condivise e integrate. Attraverso la promozione della cultura (che crea lavoro, e buona occupazione) e il rispetto bene organizzato e condiviso delle diversità (che aiuta le società non solo ad essere aperte, ma vitali, e dalle prospettive meno instabili).
Guardando sia ai movimenti della politica nostrana sia a quelli globali, nella sfida tra populismi e società aperta, quest’ultima non rischia di indebolirsi, mi riferisco anche al Pd e Italia Viva, perdendo la sua unità?
Viviamo in società sempre più plurali e molteplici, non vedo molti fronti compatti all’orizzonte. A mio avviso un terreno extra-polarizzazione come i temi legati alla cultura e alla conoscenza, anche rispetto ad altre culture, è molto prezioso. E, attenzione, le dimensioni scientifiche, quelle di discussione culturale, gli stimoli creativi e innovativi diffusi, l’amore per le tradizioni, sono anche strumento di crescita delle politiche nazionali. Paradossalmente, vedo qui un terreno di incontro possibile, se si sgombra il campo dall’odio politico, anche tra ‘sovranisti’ e ‘globalisti’; tra nuove destre e forze tradizionalmente democratiche. Con la Diplomazia Culturale, strumento di difesa e promozione dell’interesse nazionale, posta al centro dell’azione italiana.
Chi deve farsi carico, in termini politici, di questa nuova sfida?
La Diplomazia Culturale ha bisogno di una cabina di regìa governativa, condivisa però dal Parlamento, e fortemente radicata nella società, nell’associazionismo, nello spazio pubblico della democrazia digitale. In parallelo, vedo la necessità che l’Italia partecipi a una rielaborazione internazionale, nei tempi nuovi, del concetto e degli strumenti del soft power, non più solo intesi come proiezione di una politica di potenza “gentile”, ma inclusivi, aperti al dialogo, collaborativi. Quanto alla Diplomazia Culturale, vedo una cosa nuova e positiva in questo nuovo governo: avere portato Commercio Estero e Ice dentro la Farnesina, ovvero la proiezione degli interessi italiani nel mondo sotto la guida della politica estera. C’è poi la promozione dele varie declinazioni del Made in Italy. Io mi auguro che il nuovo governo rilanci l’intesa, che fu stipulata da Franceschini con Gentiloni, per il potenziamento della cultura, della lingua e dei maggiori settori produttivi della Diplomazia Culturale italiana, tra Ministero degli Esteri – e, oggi, del Commercio internazionale – e della Cultura.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/10/04/francesco-rutelli-diplomazia-culturale-soft-power/43804/