Non è stato il primo, non sarà l’ultimo. L’espulsione del senatore (ormai ex) grillino Gianluigi Paragone, ratificata dal collegio dei probiviri composto da Raffaella Andreola, Jacopo Berti e dal ministro della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone era nell’aria. Aveva votato contro la legge di Bilancio. Si era astenuto sulle conclusioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Da tempo non risparmiava critiche ai vertici. Aveva agitato le acque sulla situazione delle rendicontazioni, il «vaso di Pandora» su cui da tempo il Movimento continua un balletto di regole e controregole. Ora il verdetto. E la risposta: «Vengo espulso dal nulla. Quando perdi due elettori su tre sei il nulla».
Così si chiude la questione, sembrerebbe. Ma forse se ne apre anche un’altra. A conti fatti, il Movimento ha perso, durante le vacanze, due presenze di peso, per motivi diversi. Prima l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, in polemica per la scarsa copertura finanziaria della scuola. Adesso l’ex direttore della Padania. Sono due storie diverse, senza dubbio. E forse anche due destini: per il primo si è parlato di un nuovo gruppo, alternativo al Movimento (secondo alcuni giornali ci sarebbe anche il nome: Eco), che riunirebbe dissidenti grillini e membri del Misto. Per il secondo, invece, non è difficile immaginare un ritorno in famiglia, cioè alla Lega. Ne costituiva, secondo molti, una “quinta colonna”. E oltre a tutto il resto, si può anche notare come il format dei suoi incontri nel territori, pubblicati sulla sua pagina Facebook, somiglia molto alle campagne – paesino per paesino, macellaio per macellaio – del leader Matteo Salvini.
In ogni caso, sono già cominciati i vaticini sulla ennesima fine del Movimento, visto che Paragone ne avrebbe incarnato lo spirito originario (ma è mai esistito?), cioè pugnace e popolare, assicurando, soprattutto agli inizi, una certa attenzione mediatica.
Ma è davvero così? Secondo il diretto interessato, sì. Anche se poco prima della decisione dei probiviri si diceva intenzionato a ricorrere, nell’eventualità dell’espulsione, sull’incompatibilità della Dadone (perché è anche ministro), rivolgendosi proprio a Luigi Di Maio, che indicava come il responsabile principale del tracollo pentastellato. Adesso parla di “nulla”, dal punto di vista elettorale. Ma anche dal punto di vista ideologico: in alcune interviste comparse nei giorni scorsi, lamentava come il Movimento avesse perso la sua forza dirompente, ormai messo «al guinzaglio dal sistema, che non lo considera più pericoloso». Questione di punti di vista, verrebbe da dire.
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